Oprah Winfrey: “Il razzismo è un male che si insegna. L’apertura verso gli altri è l’antidoto”

Oprah Winfrey: “Il razzismo è un male che si insegna. L’apertura verso gli altri è l’antidoto”

La conduttrice presenta ‘David Makes Man’, la serie di cui è anche produttrice, in onda sul suo canale Own. E parla anche di storie, traumi, educazione. Ma non scenderà in campo per sfidare Trump: “Preferisco continuare a fare politica dalla mia posizione di operatrice culturale”

Oprah Winfrey ha interrotto la sua vacanza in Italia (anche se questa non è stagione di tartufi, di cui è nota esperta e amante) ed è tornata a Los Angeles per il lancio di una nuova serie televisiva David Makes Man in onda sul suo canale Own. La serie, che ha anche prodotto, è incentrata su un giovane prodigio, David (Akili McDowell), che cerca di emenciparsi e uscire dal suo povero quartiere ghetto in Florida. A 65 anni, figlia del profondo Sud, Oprah è una delle figure più influenti nel mondo dell’intrattenimento e della cultura in America, celebre per il suo talk show pomeridiano in onda da 30 anni sulla Abc, attrice, produttrice e fondatrice dell’impero che porta il suo nome, promotrice anche di letteratura col suo Oprah Book Club che ha avuto in Toni Morrison uno dei pilastri. Oggi indossa un top e pantaloni bianchi sotto una palandrana marrone e zeppe bianche, e guarda con ammirazione il giovane regista Tarell Alvin McCarny, creatore di David Makes Man, .

Oprah perché crede tanto in questa serie?
“Perché parla di quello che un giovane nero che cresce nelle comunità nere e povere delle grandi città vorrebbe essere. La maggior parte di noi non immagina né capisce quella realtà – anche oggi, nel 2019 – e questa storia ci permette di capire cosa significhi avere un’infanzia difficile, tra mancanze materiali e affettive, senza una comunità che ti sostenga e ti permetta di crescere”.

La serie parla anche di trovare la propria strada. Ricorda quando ha trovato la sua?
“Ho cominciato in tv a 19 anni e sono fortunata che quella strada mi abbia portato poco a poco, passo dopo passo, a essere la conduttrice di un talk show divenuto popolarissimo. Credo che ogni passo che fai nella vita porta ad altri passi che diventano poi un vero e proprio viaggio. Bisogna sempre andare avanti. Nella vita come nell’arte, nella politica”.

A proposito di politica: chi pensa possa battere Donald Trump nelle presidenziali del 2020?
“Ancora sto cercando di capire chi può essere il candidato migliore per i democratici, e chiunque sarà farò quello che potrò per sostenerlo o sostenerla per quanto possibile. Ma sto ancora facendo ricerche”.

Si sente ottimista? O teme avremo Trump per altri quattro anni?
“Preferisco non rispondere a questa domanda”.

Non pensa di scendere in lizza?
“No. Preferisco continuare a fare politica dalla mia posizione di, diciamo così, operatrice culturale e divulgatrice”.

Toni Morrison è stata una figura che per lei è stata molto importante.
“Toni Morrison ha significato molto per me non solo come scrittrice, ma come donna. Penso a lei come uno dei giganti della nostra cultura e storia. Maya Angelou diceva che Toni aveva l’intuizione di uno sciamano e il lirismo di un poeta. Triste perché nella nostra comunità e cultura non ci sono figure di ispirazione come Morrison e Angelou, scomparsa già da vari anni. Oggi mi sento orfana di entrambe. Le mie due madri letterarie”.

Qual è il suo libro preferito di Toni Morrison?
“Beloved (Amatissima): quando finii di leggerlo l’ho chiamata, anche se non la conoscevo ancora di persona. A quei tempi nel retro della copertina mettevano l’indirizzo degli scrittori, è così che ho chiamato per invitare tanti scrittori al mio show. Il suo numero però non era in elenco e allora ho chiamato i vigili del fuoco della città dove abitava e loro l’hanno chiamata per me: mi ero inventata una scusa. E mi hanno dato il suo numero. Le dissi che avevo appena finito di leggere il libro e che ci avevo messo tanto perché non facevo che rileggere certi passaggi e frasi e dialoghi, e lei mi disse: ‘Brava, quello mia cara si chiama leggere’. E poi producemmo il film tratto dal romanzo, vi recitai anche, con la regia di Jonathan Demme, scomparse prematuramente pure lui. Quante perdite”.

Lei ha detto che è importante raccontare storie, perché solo così capiamo chi siamo e possiamo migliorare.
“Certo, credo anzi che raccontare storie, lo storytelling, sia la nuova religione, un nuovo modo per entrare nella tua anima e spirito. E bisogna usare sempre l’immaginazione e chiederci non solo cosa c’è che non va, ma cosa possiamo fare per aggiustare le cose”.

Come tante persone di successo anche lei proviene da origini umili.
“Se non avessi patito dei traumi nell’infanzia forse non sarei qui. Il trauma mi ha segnata e mi ha indicato la strada per l’emancipazione, mi ha dato la forza di volontà per impormi come donna e professionista. Ora vivo in un mondo in cui ho amici con potere e soldi e so che se fossi cresciuta in quella condizione di privilegio sarei un po’ pigra, non sarei diventata chi sono, ovvero una che non si ferma un attimo. So che ogni cosa che mi è successa è successa anche per me. Ho affrontato le paure di non sentirmi amata o di essere respinta, sono state esperienze significative. Una cosa che ho appreso nel corso degli anni nel mio talk show – che è stata la mia terapia – è che tutti ti chiedono: mi vedi? mi senti? Ogni conflitto emerge dal timore del non essere considerati, e la considerazione può risolvere ogni conflitto. Anche coniugale. O planetario”.

Pensa che anche l’America possa risolvere così i suoi traumi?
“Dal microcosmo al macrocosmo. Certo. La mancanza di ascolto, considerazione e amore genera i conflitti. L’ingiustizia è il non sapere ascoltare o vedere l’altro. Dall’intimità dei rapporti personali alla vastità dei rapporti politici tra Paesi”.

L’Europa sta virando verso destra, emergono sovranismi, nazionalismi, razzismi, come qui in America: come se lo spiega?
“Le nostre chiese erano il centro d’aggragazione morale, un posto dove potevi unirti e le famiglie sapevano che lì c’era il nocciolo. Questo non c’è più. Così come avevamo programmi tv che tutti insieme guardavamo, ora è tutto frammentato, scisso. Non c’è il luogo di raccolta. E ripeto, l’unico modo di raggiungere il cuore della gente è la narrativa, ma quella vera, non quella di twitter, delle fake news, dei blogger infamanti e demenziali. È quello che ha fatto ad esempio Ava DuVernay con When they see us, sui quei ragazzi innocenti arrestati e sbattuti in prima pagina come mostri per un omicidio non commesso, che la dice lunga sui nostri pregiudizi e abusi di potere. Con una storia così insegni ad avere sempre un avvocato presente quando ti arrestano. Un solo episodio fa capire più di tanta gente che urla da un pulpito e non viene ascoltata”.

È ancora dell’opinione che il razzismo provenga da educazione sbagliata?
“Ti devono insegnare a essere razzista. La gente vive nel pregiudizio. Ma quando sei in contatto vedi che gli altri vivono e respirano come te, vogliono le stesse cose per la loro famiglia, se sei aperto mentalmente è difficile non sentirlo. Educazione, apertura, contatto, illuminazione: sono i cardini che ci aiutano a spalancare i cancelli e a progredire come razza umana”.

Silvia Bizio, repubblica.it

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