Argento nei 50 metri rana a 14 anni e 194 giorni. Ecco chi è Benedetta Pilato, la più giovane medagliata azzurra in un Mondiale.
Si agita sul podio del Mondiale di Gwangju, mentre guarda dall’alto la vasca nella quale poco prima ha nuotato i suoi 50 rana d’argento. La vista è bella da lassù, bellissima, e fa venire pure un po’ di vertigini. Il piede sinistro trema, continua a ciondolare poggiandosi sull’esterno. Se continua così finirà per consumare le scarpe, fortuna che la cerimonia di premiazione dura pochi minuti. Comunque più dei 30 secondi che ci ha messo ad affermarsi come una delle raniste più forti al mondo.
In acqua, Benedetta Pilato non sembrava per nulla emozionata. Si è tuffata e una bracciata dopo l’altra ha costruito il suo capolavoro, davanti a sua maestà Yulia Efimova, pochi centesimi dietro la fuoriclasse americana Lilly King. Hanno 13 e 8 anni più di lei, rispettivamente 6 e 7 titoli mondiali, ma adesso la differenza non si vede né si sente. Benedetta, 14 anni e 194 giorni, era la più giovane italiana mai approdata a un Mondiale di nuoto, ora è la più piccola ad aver vinto una medaglia in qualsiasi sport. Una campionessa precoce anche più di quanto non lo fu Federica Pellegrini, che ad Atene 2004 fu argento nei 200 stile libero a 16 anni e 12 giorni.
Soltanto pochi mesi fa, ai campionati italiani primaverili di Riccione, aveva chiuso seconda alle spalle di Martina Carraro, trovando il minimo per i Mondiali. Sembrava già tanto, forse pure troppo, e in zona mista alla stampa disse che gli obiettivi non erano “quelli assoluti” ma “soprattutto quelli giovanili”. Pure lì è precoce, ha vinto l’oro agli Europei con un paio d’anni d’anticipo e ad agosto si presenterà al Mondiale da favorita assoluta, perché ora non può più nascondersi.
A Gwangju ha dovuto subire il rito della matricola: le hanno tinto i capelli, ma solo metà. Di un biondo che non è proprio biondo, è più un giallo pacchiano, da pennarello. E lei se li è tenuti così, orgogliosa, per tutto il Mondiale. Le ha persino fatte rimanere male le colleghe più anziane, perché non è previsto che quel piccolo atto di innocente nonnismo possa essere gradito a chi lo subisce, altrimenti che rito della matricola è? Ha il piglio da veterana, Benedetta, che in batteria ha nuotato 29”98, migliorando il record italiano che aveva già battuto al Sette Colli e fissando il nono crono mondiale di tutti i tempi, e in semifinale ha staccato il terzo tempo, prima di chiudere tra le lacrime una finale d’argento.
Sono lacrime di gioia e sorpresa di una ragazza che ha scoperto il nuoto a 2 anni e che, fosse stato per papà, non avrebbe mai fatto l’agonista. Una ragazza del Sud, figlia di quella Taranto tormentata dall’Ilva, sospesa tra la voglia di aria pulita e il bisogno di lavoro, terra che normalmente non produce campioni in vasca anche perché a Taranto una piscina per allenarsi non c’è. Benedetta deve andarsene a Pulsano per nuotare, 31 chilometri ad andare e altrettanti a tornare, tutti i giorni, per due ore di allenamento, la metà di quanto fanno le colleghe perché per lei c’è anche la scuola. Il liceo scientifico indirizzo scienze applicate, media dell’8 al primo anno, baby fenomeno anche tra i banchi. Poi la palestra, tre volte alla settimana, per curare quei muscoli che sembrano esser stati concepiti per la rana e la velocità.
Piange Benedetta, perché ora sa veramente quanto vale e lo sanno anche le avversarie. Lo sa Lilly King, che se l’è vista piombare addosso, sempre più vicina e minacciosa, in una finale Mondiale, che si è girata verso di lei vedendola in lacrime e le ha chiesto se tutto andasse bene. Sì, tutto bene Lilly, piuttosto preoccupati per te. Perché ora Benedetta vivrà un anno in cui dovrà allungare gli sforzi, aggiungere un po’ di resistenza e raddoppiare la distanza. I 50 non sono disciplina olimpica, i 100 sì. La strada per Tokyo è lunga e piena di sacrifici: niente uscite la sera, niente feste, poco tempo libero oltre la scuola e gli allenamenti. È il prezzo da pagare per essere una campionessa.
Gabriele Lippi, Vanity