Meg Ryan e Billy Crystal hanno contribuito al successo del film scritto da Nora Ephron e diretto da Rob Reiner
Sono passati trent’anni dall’uscita di Harry ti presento Sally, eppure, in tutto questo tempo, nessuno è riuscito a scalzarlo dal suo trono di rom-com più popolare degli ultimi decenni. Non esiste spettatore, neppure tra i meno inclini al genere, che ignori le scene cult della commedia di Nora Ephron e Rob Reiner.Su tutte quella in cui Sally simula un orgasmo in un ristorante affollato, per dimostrare a Harry che le donne possono barare a letto, e senza che il loro partner se ne renda conto (e una matura signora chiede al cameriere di portarle “quello che ha ordinato la signorina”). Ma anche la scena in cui entrambi i protagonisti guardano Casablanca in tv standosene a letto e si parlano al telefono: sembra che il letto sia uno solo, salvo accorgersi che l’immagine è in split-screen e ognuno è a casa propria. Sono rimaste celebri anche alcune battute della geniale sceneggiatrice Nora Ephron: Sally “Charlie Chaplin faceva ancora figli a settantatrè anni” – Harry “Sì, ma non riusciva a tenerli in braccio”.Il successo ecumenico del film non si può riassumere, però, in alcune scene e battute, per quanto citatissime. Il fatto è che Harry ti presento Sally è la quintessenza stessa della commedia romantica americana, in tutte le sue componenti e i suoi umori. La storia si svolge lungo l’arco di dodici anni: da quando i protagonisti condividono un viaggio dal college di Chicago a New York, dove si svolgerà il resto del film (una N.Y. molto stile Woody Allen, con musiche di Gershwin, Armstrong e Sinatra per le scene finali a Capodanno). Prima battibeccano, poi si perdono di vista. Nuovo incontro dopo cinque anni, ma nulla è cambiato. Ancora cinque anni e diventano amici, confidandosi i rispettivi fallimenti in amore. Come in ogni rom-com che si rispetti, resta da vedere quando e come si metteranno assieme, anche se tutto sembra opporli. Lui (Billy Crystal, ottimo per ritmo e tempi comici), cinico depressivo alla Allen; lei (Meg Ryan) romantica quanto rompiscatole e a volte irritante (nei ristoranti, dove si svolgono molte scene, non fa un’ordinazione senza chiedere varianti al menu, salsa a parte, senza questo e senza quello ecc.). Se l’happy end è inevitabile e il film presenta alcuni tratti di artificiosità (per esempio l’epilogo durante le feste di Natale), come è proprio di ogni rom-com, il successo della commedia si annida nei dettagli, spesso impercettibili ma essenziali. E perfetti. Al punto che nessun altro film appartenente al genere (incluso il grazioso Insonnia d’amore, sceneggiato e diretto da Ephron quattro anni dopo) ha mai rappresentato una seria concorrenza a questo. Pensiamo, ad esempio, alla coppia simmetrica a Harry e Sally, quella costituita dai loro amici Marie (interpretata da Carrie “principessa Organa” Fisher) e Jess (Bruno Kirby), semplice quanto l’altra è tormentata dai dubbi. Anche se sappiamo bene come andrà a finire la love-story dilazionata, accettiamo volentieri di sospendere l’incredulità e di credere che i protagonisti, dopo tante traversie, capiranno alla fine di amarsi. Dimenticando che la coppia Meg Ryan–Billy Crystal non è proprio la più attendibile dal punto di vista di quella che gli americani chiamano la “chemistry”, la chimica sessuale. Se la tesi di partenza, basata sulla domanda “una donna e un uomo possono essere solo amici (sostenuta da lei) oppure no (sostenuta da lui)?”, finisce in fondo per sposare la seconda versione è perché tutti i personaggi non fanno che parlare di amore e di sesso. Altra caratteristica molto “alleniana”; con una variante, però: che rispetto ai film di Woody, Harry ti presento Sally è più semplice e più orientato al gusto del grande pubblico. Da non dimenticare il ruolo svolto, nella riuscita complessiva, dalla regia dell’eclettico Rob Reiner (Stand by me, La storia fantastica, Misery non deve morire). Discreta ma ottimamente calibrata, tutta al servizio della storia e degli attori; là dove la maggioranza delle commedie romantiche si contenta di regie distratte e anonime.
Roberto Nepoti, larepubblica.it