Incontro a Roma con l’attore, regista, produttore e interprete di ‘Catch 22’, la serie contro la guerra in onda dal 21 maggio su Sky Atlantic e Sky Cinema Uno. Il rapporto con l’età, il divismo
Simpatico, gentile, intelligente, disponibile: what else? George Clooney non delude, come tutti i grandi è una persona semplice, alla mano. Magro, completo grigio, la barba bianca, 58 anni compiuti il 6 maggio (“L’età? Non ci penso, tanto non posso farci niente”), canta Que serà, serà in omaggio a Doris Day. “Era di Cincinnati, la mia città. Ed era una vera star, come Paul Newman, Robert Redford, Faye Dunaway, Cary Grant, i divi che mi facevano sognare”. Alla fine della chiacchierata nel giardino dell’hotel a Trinità dei Monti, mostra le foto dei figli sul cellulare: la piccola Ella abbracciata a un alpaca e a un’oca, forse futura veterinaria, Alexander pacioso, gli occhioni con le ciglia lunghe, identico a lui. “Questo è mio figlio”, spiega, “quello nella foto in bianco e nero sono io: siamo uguali vero?”.
A Roma per presentare Catch 22, la serie in onda dal 21 maggio alle 21.15 su Sky Atlantic e Sky Cinema Uno, di cui è interpreta regista (di due episodi) e produttore, l’attore racconta con passione come sia importante parlare ancora della follia della guerra. “Non è solo una storia sull’assurdità della guerra, ma anche sulla lotta al sistema. Puoi combattere quanto vuoi ma è davvero difficile battere il sistema. Il libro di Joseph Heller è un caposaldo della letteratura, io e Grant Helov volevamo assolutamente farlo”. Girata tra la Sardegna e il Lazio, Catch 22 segue le avventure di uno squadrone di giovani aviatori americani di stanza in Italia, durante la Seconda guerra mondiale. La paura della morte, l’orrore quotidiano, la vita nella base, gli ordini assurdi, i momenti di libertà (nella casa di tolleranza gestita da Giancarlo Giannini, grandissimo come sempre), la gerarchia che ha poco senso.
A tenere le fila della storia è lo sguardo del capitano John Yossarian, (interpretato da Christopher Abbot), detto Yoyo, che prova a dichiararsi pazzo, ma facendolo incappa nel paradosso del comma 22: “Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo”. “Anche in una guerra ‘giusta’ c’è un’assurdità alla base” dice Clooney “Ci sono uomini più anziani che decidono della vita di giovani. Probabilmente negli Usa – siccome abbiamo un esercito di volontari e non la leva obbligatoria – non sono in tanti a ricordarsi che siamo ancora in Afghanistan, ci dimentichiamo che stiamo ancora mettendo in pericolo le persone”. Tanti si augurano che il divo tenti la corsa alla Casa Bianca: “Non penso di entrare in politica, non credo sia il posto migliore dove operare. Ho altri talenti: fare l’attore è logico per me, e non devo sottostare ai compromessi tipici della politica” continua l’attore “viviamo tempi molto tesi, bisogna sempre prestare attenzione a quello che succede intorno a noi. Catch 22 è un testo senza tempo, una satira della guerra, per me è sempre il momento giusto per parlarne. Gli autori hanno trovato il modo di srotolare il bandolo della matassa mostrando la storia dal punto di vista di Yoyo e quindi della follia di quello che accade”.
Quanto al suo ruolo, quello del ridicolo tenente Scheisskopf (‘testa di… ‘ in tedesco, ndr), dice che appena ha letto il nome ha pensato che fosse il ruolo perfetto. “Dovevo farlo, potevo urlare alle persone, che è sempre terapeutico”. Clooney aveva letto il libro di Heller da ragazzo. “Ricordiamoci che Catch 22 (Comma 22 in italiano, ndr) è uscito nel 1961, durante la guerra di Corea. Il film di Mike Nichols, invece, nel 1970, durante la guerra in Vietnam. Oggi c’è l’Iran e ci sono altri fronti, mai arrenderci davanti all’esigenza di parlarne, c’è in ballo la vita di tanti giovani. Non so se possiamo parlare di guerre, però se ci guardiamo intorno autoritarismo, populismo, paura, producono effetti tragici: ci sono Duterte, Orban, è un periodo sgradevole e questo mi preoccupa. Però sono un ottimista, la situazione può migliorare. Ho visto un presidente nero, chi poteva immaginarlo”.
La guerra torna nei suoi film. “Negli Stati Uniti la Seconda guerra mondiale fu vista come ‘la guerra giusta’, è stata l’ultima che è stata ufficialmente dichiarata dal Congresso” spiega l’attore “era facile perché Hitler e Mussolini erano i cattivi. Il modo in cui sono arrivati al potere è interessante, anche perché la brava gente guardava altrove. Sono arrivati al potere grazie al populismo”. Ha detto che facendo politica sarebbe costretto a scendere a compromessi. A Hollywood non si fanno? “Per me no. Voglio dire che quando ero più giovane scendevo a compromessi” spiega l’attore “oggi posso scegliere, è un lusso. Oggi posso fare osservazioni, come per esempio scontrarmi con realtà che non approvo senza avere conseguenze. Mi riferisco alle critiche al sultano del Brunei che vuole condannare a morte gli omosessuali. Posso oppormi a una tale politica non avendo legami con la politica”.
Le inchieste lo affascinano, sta realizzando a un progetto televisivo in otto parti sullo scandalo Watergate. “E’ un tema affascinante” spiega “ed è un momento decisamente interessante per raccontarlo. Fino ad alcuni anni fa gli studios investivano anche in film di dimensioni medie. Allora era possibile produrre titoli come Syriana, Tra le nuvole o Michael Clayton, che pur intrattenendo affrontavano temi seri. Ora gli studios non lo fanno più perché non è vantaggioso economicamente. Se si produce un film da dieci milioni di dollari poi se ne devono investire quaranta per venderlo. Perciò le storie che amo e che mi coinvolgono, le racconto in forme diverse, non importa attraverso quale mezzo”.
Doris Day era una diva, chi sono oggi le star? “È cambiato tutto, quando ero giovane lo erano Paul Newman, Redford, Steve McQueen, personaggi ‘bigger than life’. Oggi i divi li vediamo sul telefonino e possiamo anche non ascoltarli. Prima li vedevamo sul grande schermo, tutto evolve”. Chi immagina davanti alla tv a vedere Catch 22? “Innanzitutto ci sono bellissimi ragazzi nudi, buon motivo per guardarlo da parte delle ragazze… Ovviamente è una battuta”, sorride Clooney “Il mio compito è raccontare storie, l’umore del pubblico può cambiare rapidamente. Racconto storie, come i Rolling Stones continuano a fare la stessa musica. Ma ogni cinque anni fanno i concerti e siamo felici di andarci”. Non le sarebbe piaciuto girare il seguito di quel bellissimo film che è Michael Clayton? “Ma il seguito c’è già. E’ la storia Michael Cohen, il legale di Trump, che è già in galera” dice ridendo. Poi racconta che quando ha girato l’ultima scena di Michael Clayton, quella in cui sale sul taxi e chiede all’autista di guidare per tutta la città, era nel traffico di Manhattan, avevano pochi minuti e tutti gridavano: “Guarda Clooney!”. “Magia del cinema, eravamo circondati. Non si vede niente”.
Silvia Fumarola, repubblica.it