A Londra fino a settembre ‘Stanley Kubrick – The Exhibition’ svela i segreti dietro al lavoro maniacale dietro ad ogni suo titolo
Se volete capire il suo genio e anche un po’ di segreti della sua vita, dovete visitare la mostra Stanley Kubrick – The Exhibition, presso il Design Museum di Londra (a Holland Park) fino al 15 settembre. Perché questa vasta retrospettiva dedicata al leggendario regista americano (e britannico) è essenziale ma allo stesso tempo completa e necessaria, sia per i suoi milioni di fan, sia per coloro che lo conoscono un po’ meno. Innanzitutto gli oggetti: ce ne sono circa settecento, alcuni anche inediti, e tutti sono legati a Kubrick, ai suoi capolavori ma anche alla sua vita privata. Non a caso, addirittura prima dell’ingresso tra il pubblico in fila, è parcheggiata la Durango 95 dell’ammaliante delinquente Alexander Delarge di Arancia Meccanica, mentre appena ci si immerge nella rassegna ci sono gli scacchi di Kubrick, incluso BORIS, uno dei primi computer di questo gioco. Perché Stanley era un fanatico degli scacchi, in quanto grazie a loro “ho capito la disciplina mentale necessaria nel cinema”, diceva. Così come la musica era fondamentale per Kubrick, da Purcell a Beethoven e Bizet, per il senso e il peso specifico che secondo lui solo essa riusciva a dare a parole e immagini. È solo l’inizio di un preziosissimo viaggio nella mente e nel credo di Kubrick. Nella mostra c’è tutta la sua ossessione per i dettagli e l’approfondimento: gli appunti, i copioni e sceneggiature con le sue modifiche originali, le lettere da e a Nabokov per Lolita di cui lui “capovolse” la trama, le missive minatorie ricevute per questo “scandaloso” film e per Arancia Meccanica, addirittura una biblioteca intera per il film Napoleone abortito dai produttori per le sue ricerche estenuanti (ma lo recupererà il suo amico Steven Spielberg, come fece con A.I.). Google ancora non c’era ed era una faticaccia fare le ricerche sopraffine cui si dedicava il regista, ma Kubrick, tra i registi più futuristi e distopici di sempre, ha sempre anticipato il futuro, e non a caso nella sala dedicata al capolavoro 2001 Odissea nello Spazio, tra Hal e l’intelligenza artificiale, ci sono le visioni del primo tablet e una sorta di Facetime, molti anni prima che venissero inventati.Ma appunto, dicevamo, gli oggetti, originali: a ogni film di Kubrick è dedicata una stanza e attraversando queste avvolgenti sale c’è l’elmetto “Born to Kill” con allegato simbolo della pace di Full Metal Jacket e Matthew Modine, le statue vaginali del Korova Milk Bar e i costumi dei drughi di Arancia Meccanica, i cristi danzanti e il pene gigante bianco di Herman Makkink nello stesso film insieme alla Valentine rossa firmata Ettore Sottsass (utilizzata sempre da De Large), e poi il tappeto degli inquietanti corridoi dell’Overlook Hotel, i costumi delle gemelline malefiche e il plastico del labirinto davanti al quale Kubrick istruì Jack Nicholson (Shining), un altro plastico ma stavolta della Situation Room del Dottor Stranamore (che conquistò persino il presidente Reagan), le lenti della Nasa che hanno “illuminato” un altro capolavoro come Barry Lyndon, i costumi di Orizzonti di gloria, la Hilton Space Station 5, la Zero Gravity Toilet e ovviamente il corridoio rotante della Discovery di 2001 Odissea nello Spazio.Ci sono altri due macrotemi di questa mostra. Il primo: il culto quasi campanilistico di Kubrick riguardo alle location dei suoi film, che da quando si trasferì a Londra (1972) ha prevalentemente girato in Regno Unito e in Irlanda persino opere come Full Metal Jacket, dove la città vietnamita Hue è in realtà Silvertown (Docklands) grazie anche a 200 palme ordinate dalla Spagna e 100mila piante tropicali da Hong Kong, oppure il suo ultimo capolavoro Eyes Wide Shut, dove il Greenwich Village di Manhattan nel film è in realtà East London, e a questo proposito sono notevoli le ricerche fotografiche esposte nella mostra per cui Kubrick aveva incaricato suo cognato Jan Harlan. E infine, il legame strettissimo del regista e della sua filmografia con il design e l’architettura (e quindi costumisti ed artisti), come Saul Bass, Allen Jones, Philip Castle, Milena Canonero e Hardy Amies, fino al brutalismo architettonico di Arancia Meccanica. Kubrick era ossessivo, faceva impazzire i suoi collaboratori con le sue richieste e pretese. Ma alla fine, come dimostra anche questa mostra, ne è valsa davvero la pena.
Antonello Guerrera, repubblica.it