«La rete, ormai impadronitasi di noi, è un mezzo di trasmissione di pestilenze etiche e morali mai sperimentato prima». Il cantautore racconta a Vanity Fair il nuovo album, nato durante un “esilio” autoimposto in un paese semiabbandonato dell’Irpinia
«Nei mesi passati in quella casa nel paese in abbandono, mi sono sentito come un ammutinato che cerca riparo nella bellezza… In fondo, in quel luogo dimenticato, cercavo rifugio da un’epoca pestilenziale, proprio come accadeva ai tempi del Boccaccio… Siamo sicuramente in un periodo di grande pestilenza. Rispetto al nostro ieri c’è un mezzo di trasmissione di pestilenze etiche e morali mai sperimentato prima. Un mezzo che si è impadronito di noi: la rete».
Così Vinicio Capossela racconta a Vanity Fair, in un’intervista pubblicata nel numero in edicola da mercoledì 24 aprile, come è nato, durante un “esilio” autoimposto in un paese semiabbandonato dell’Irpinia delle sue origini familiari, il nuovo album Ballate per uomini e bestie, in uscita il 17 maggio.
La sua, spiega il cantautore a Vanity Fair, non è ostilità verso i social network, ma una riflessione sui loro meccanismi: «Non voglio sostenere che internet somigli alla peste, ma prenda i social network: tra video virali e influencer, non si può non notare come tutto sia retto da una terminologia epidemica. Per Artaud la pestilenza era liberatoria ed è innegabile che questa democrazia della rete, questo repulisti di competenze, questa curiosità febbrile, sovverta il sistema e restituisca la più sinistra tra le ebrezze. Cambiando però gli strumenti con cui ci si può esprimere, inevitabilmente, cambia tutto. Trovo che il mezzo sia estremamente interessante, ma sospetto che serva un’enorme autodisciplina per non restarne inghiottiti, dal mezzo e soprattutto dall’ego. Quindi i social li ho anche io, ma li uso per interposta persona. Proprio come le signore anziane della mia infanzia, preferisco non vedere il mostro in faccia. Quando ero piccolo, durante le estati in Irpinia, le vecchie coprivano la televisione con un panno perché avevano la sensazione che il mezzo fosse cosa viva e le osservasse. Oppure, al contrario, si facevano belle quando quel panno veniva tolto. A farsi fagocitare dalla rete basta un secondo e i social sono una precisa radiografia dell’animo umano, dei nostri gusti, delle nostre preferenze. Una catalogazione, uno spettro dei nostri desideri di cui Orwell aveva già ragionato in 1984. Studiare i social mi piace, tenere da loro la giusta distanza mi consola».
Il povero Cristo, un brano del nuovo disco, è già in rete ed è stato trasmesso su Sky Arte con un video girato da Daniele Ciprì a Riace, una scelta che sembra un richiamo all’attualità. Ma Capossela invita a non interpretarla come un messaggio politico rivolto ai Salvini. «Anche se la propaganda copre con slogan e soluzioni semplicistiche problemi apparentemente irrisolvibili, in questo momento la storia ci obbliga a confrontarci, come in altri periodi di crisi, con problemi più grandi delle ideologie, dei dogmi e dei politici che la incarnano. Riace è il manifesto di tante cose, non solo degli sbarchi, delle persone che cercano un approdo e della luce da trovare in fondo al buio di una traversata… In realtà è un pezzo astorico: se ci pensa, al povero Cristo, non è che duemila anni fa fosse andata poi tanto meglio».
Malcom Pagani, Vanity Fair