Il film di Phil Grabsky in sala il 6, 7 e 8 maggio per il ciclo ‘La grande arte al cinema’ di Nexo Digital. Protagonisti i ricordi del pronipote che ricostruisce, con un team di esperti, la primissima fase della carriera del geniale artista
“Per me il mio bisnonno, inteso come idea, mito, è nato nel giorno in cui è morto”. Olivier Widmaier Picasso aveva dieci anni quando Pablo se n’è andato, troppo pochi per rendersi conto di chi fosse davvero quell’uomo che riempiva la casa “di quadri e sculture. Sapevo cosa facesse – racconta Olivier – ma non era parte del mio mondo. Solo il giorno della sua scomparsa, quando le televisioni hanno iniziato a dedicargli programmi, ho capito quanto fosse importante”.Ci sono anche i contributi del pronipote Olivier Widmaier nel nuovo documentario Il giovane Picasso, il film diretto da Phil Grabsky che sarà in sala in Italia solo il 6, 7 e 8 maggio per il ciclo La grande arte al cinema di Nexo Digital e che per la stagione 2019 arriva nelle sale italiane in collaborazione con i media partner Radio Capital, Sky Arte e Mymovies.it. Nel film però Olivier si concentra su un’altra fase della vita artistica di Pablo Picasso, la primissima, e ricostruisce insieme a curatori e studiosi della Fundación Picasso-Museo Casa Natal di Málaga, il Museu Picasso di Barcelona, il Museu Nacional d’Art de Catalunya, sempre a Barcellona e il Musée national Picasso di Parigi, i primi approcci alla pittura di quello che era sì un talentuoso artista, ma conosciuto ancora solo come “lo spagnolo, il malagueño”.Se si fissa Olivier Picasso in volto, il taglio degli occhi è talmente simile a quello del bisnonno che si potrebbero annullare le due generazioni in mezzo tra i due. Le somiglianze finiscono qui però: “Ho provato a dedicarmi anch’io alla pittura, ma non ero assolutamente portato. Ho studiato legge, poi però mi sono spostato subito nell’ambiente musicale e televisivo. Anche se non sono un artista, insomma, vivo circondato da creativi. L’influenza di Pablo in qualche modo si fa sentire”. Con questo documentario non è la prima volta che Olivier si dedica a ricerche e studi sulla sua famiglia “ho scritto dei libri e prodotto documentari per la tv”. Il suo ultimo libro, Picasso: An Intimate Portrait, arriverà anche in Italia tra qualche mese edito da Jaca Book.Dalla Spagna a Parigi, dal periodo Blu al Rosa, Il giovane Picasso, racconta il genio di “un quattordicenne rivoluzionario”, intenzionato a entrare nella storia dell’arte senza passare dalle Accademie e le scuole di pittura (costretto dal padre a frequentarle, imparerà comunque lì dentro concetti che si riveleranno fondamentali). Racconta l’ammirazione dell’artista per i predecessori, Velázquez, Goya, ma anche dell’apertura mentale che permise a Picasso di misurarsi con qualcosa fino a quel momento sconosciuto: l’arte del mondo non occidentale. “È così che inizia quello che definiamo il Primitivismo di Picasso – dice Olivier – che si sarebbe evoluto nel Cubismo, l’intuizione che cambiò la storia dell’arte per sempre”. Les Demoiselles d’Avignon, l’opera che Picasso realizzò nel 1907, a 25 anni, è il manifesto di quella rivoluzione, oltre che la rivelazione che le donne e la sua Spagna saranno sempre fonti d’ispirazione imprescindibili, anche per l’artista famoso in tutto il mondo.
Pure se fisicamente lontano, Picasso non ha mai abbandonato il suo Paese, la Spagna…
“Per tutta la prima parte della sua vita, fino ai vent’anni, alla prima volta a Parigi nel 1900, Pablo Picasso era ‘l’artista spagnolo’. Suo padre, Josè Ruiz, era professore di disegno ed è stato lui ad insegnare a Pablo le prime nozioni di pittura e, notato il suo talento, è stato lui ad iscriverlo alla scuola d’arte di Malaga. Quella città, le montagne o il porto di Malaga, è nelle sue primissime opere. Pablo si è poi trasferito con la famiglia prima a La Coruña, poi a Madrid e Barcellona. Tutte queste città sono state fondamentali per la sua formazione, ma Madrid aveva qualcosa in più. A Madrid c’era il Prado. Nel museo Picasso osserva opere di Velázquez, El Greco, Goya e decide di voler entrare anche lui a far parte della storia dell’arte. Per tutto il resto della sua vita ha creduto che il suo talento – che possiamo chiamare genio – era una missione. Se nel corso degli anni può essere stato influenzato dalle donne che ha avuto o da altri artisti, alla fine, nella seconda metà degli anni Sessanta, è alle figure della tradizione spagnola, ai toreri, le corride e le strade di Malaga, che Picasso torna. Ovunque vivesse sentiva fortissime le sue radici spagnole. Il giovane Pablo è rimasto per sempre dentro Picasso, la mente dell’artista non ha mai dimenticato le sue origini”.
Come si può essere un rivoluzionario a 14 anni?
“Probabilmente Picasso arrivava in un momento di cambiamento nel mondo dell’arte. Al termine del diciannovesimo secolo si stava assistendo alla fine dell’arte intesa in senso accademico, in cui tutto aveva a che fare con ritratti di uomini ricchi per aristocratici o borghesi. A Barcellona, al caffè Els Quatre Gats, luogo di incontro dei giovani artisti e intellettuali della città, arrivavano voci su cosa stava accadendo in Germania e in Francia, e anche lì quindi si iniziò a pensare all’arte come a un’arma rivoluzionaria, per cambiare le regole. Picasso, che a 14 anni viveva a Barcellona e esponeva vincendo già anche dei premi, voleva a tutti i costi fare parte di questo movimento. E poi probabilmente un tempo si diventava adulti molto prima che oggi perché la vita era più difficile”.
Cosa lo ha spinto poi a trasferirsi a Parigi?
“Pablo faceva parte di quel circolo di artisti a Barcellona che non erano tanto interessati alla politica ma sapevano che tutte le cose più importanti, in quel periodo, accadevano a Parigi. Picasso intraprende quindi un viaggio in treno, in prima classe, su panche di legno, di due giorni e mezzo per arrivare a Parigi, nella stazione d’Orsay che è oggi il Musée d’Orsay e che solo pochi mesi fa ha dedicato a Picasso una retrospettiva, oltre cento anni dopo il primo arrivo del mio bisnonno lì. A Parigi Picasso giunge pieno di speranze, realizza il suo autoritratto e lo intitola Yo Picasso: stava dicendo a tutti che era lì, pronto a imporsi sulla scena. Purtroppo solo sei o sette mesi dopo la vita a Parigi diventa più difficile e Picasso rimane senza soldi. È in questo momento e anche per questo motivo che inizia il suo periodo Blu”.
Doveva ancora vedere ciò che avrebbe cambiato il suo punto di vista per sempre.
“Al Musée de l’Homme Pablo scopre le sculture africane e del Sud Est del mondo. Nel descrivere quell’esperienza dice: “era tutto in confusione, c’era cattivo odore e le cose erano in uno stato d’abbandono”. Anche Matisse o lo scrittore francese Apollinaire non amavano quel posto ma Picasso iniziò a studiare quelle sculture per capire perché fossero così tante e perché certe popolazioni usassero maschere o disegnassero certe figure. Scoprì che per loro era una sorta di protezione da tutto ciò che non conoscevano. È così che inizia una fascinazione che porterà al periodo che chiamiamo il Primitivismo di Picasso e che si sarebbe evoluto in qualcosa in grado di cambiare l’arte per sempre: il Cubismo”.
Les demoiselles d’Avignon è uno dei primi esempi del nuovo periodo. Qual è la storia dietro al titolo?
“Le figure ritratte non sono semplicemente giovani donne, ma prostitute. Pablo aveva amici più grandi di lui a Barcellona che lo iniziarono alla vita notturna della città, fatta di locali dove bere e bordelli. A Parigi Pablo si trova a ricordare quelle situazioni. Prima di completare il quadro realizza 600 schizzi: era povero e non poteva fare prove su tela considerato quanto costavano le tele ma ha voluto comunque studiare come disporre le figure, quindi lo ha fatto con dei disegni. Il titolo originale era Le prostitute di via d’Avignon che era la strada di Barcellona con i locali frequentati da Picasso. Solo successivamente diventa Les Demoiselles d’Avignon, titolo molto più elegante, ma non quello scelto dal mio bisnonno. E molti dei visitatori che vedono oggi il quadro al Moma di New York probabilmente non sanno la verità, cioè che quelle ritratte sono prostitute. Picasso voleva immortalare la condizione triste e difficile delle donne dell’epoca, fondamentalmente carne offerta ai clienti. E pensò anche che quelle donne meritassero di essere celebrate”.
Quindi Picasso che rapporto aveva con le donne?
“Quando era giovane e frequentava i bordelli Picasso si fermava e parlava molto con quelle donne. Credo che fosse interessato a loro più perché facessero da muse, modelle che non per sesso, sono convinto che per tutta la sua vita l’artista e l’uomo sono stati la stessa persona. Pablo ha sempre detto di avere bisogno di modelle e negli anni ha avuto diverse donne. Se ci si fa caso, ogni dieci anni circa nella sua vita entrava una donna diversa e questo coincideva con l’inizio di una nuova fase artistica, dal periodo Rosa con Fernande, al Neoclassicismo con Olga, fino alla mia bisnonna, il periodo del surrealismo. È possibile che i suoi primi incontri con il sesso femminile siano stati sfacciati, complicati, ma poi le donne sono diventate per lui occasioni, erano necessarie”.
Giulia Echites, repubblica.it