Nel nuovo disco “Paprika” (che esce il 29 marzo) tanti duetti: da Mahmood a Gué Pequeno: «Per crescere bisogna confrontarsi e dialogare con mondi diversi»
Sensuale, ammaliante, estrema: M¥SS KETA, l’angelo dell’eccesso con il volto velato e gli occhiali da sole, è tornata ed è più erotica che mai. Fin dal titolo e dalla cover del nuovo disco, Paprika (che esce il 29 marzo), la sacerdotessa pop si dichiara pronta a entrare nei sogni di chi la ascolta. Con un album caleidoscopico, dalle sonorità cosmopolite, M¥SS KETA racconta di amori fugaci dentro un luna park e love story dal sapore tarantiniano. Nel viaggio psichedelico che mescola l’alto e il basso, il colto e il popolare, Tinder e Omero, la diva meneghina porta con sè molti amici – da Mahmood a Gué Pequeno – , che duettano con lei su melodie che esplorano generi e stili differenti (dell’hip hop francese Anni Novanta all’ house britannica fino alla pop-dance). Per vederla live il primo appuntamento è il 30 aprile a Torino.
Il disco è pieno di omaggi al cinema erotico. Il titolo rimanda a Tinto Brass mentre la cover cita Valeria Marini in Bambola, famosa pellicola dello spagnolo Bigas Luna. Come mai queste citazioni?
«Il cinema erotico d’autore è sempre stato nelle mie vene, è un mondo che mi ha sempre affascinato e a cui mi sono sempre riferita nella creazione del mistero M¥SS KETA. Questa volta ho scelto di omaggiarlo in quanto portatore di una femminilità forte, misteriosa e potente. Ma per questo lavoro mi sono ispirata anche agli anime giapponesi».
A proposito di riferimenti al Giappone. Nel film di Satoshi Kon Paprika è l’alter ego virtuale con cui la psichiatra Atsuko entra nei sogni altrui per migliorarli. Vorresti farlo anche tu?
«Mi piacerebbe molto, ma in realtà io sono già nei sogni degli italiani dagli Anni Ottanta, dai tempi di Drive In».
Nell’album ci sono tantissimi duetti. Come mai?
«Dopo Una vita in capselock, in cui mi sono concentrata sull’interiorità, la situazione si è evoluta. E la spinta di guardare all’esterno è stata naturale. L’unico modo per scoprire cose nuove, infatti, è cercare di dialogare con universi diversi dal proprio. È come quando un germoglio sboccia e si affaccia all’esterno. Solo da questo confronto scaturisce una crescita».
In Main Bitch ti definisci “un’ arma di distruzione di maschi”. Oggi una donna deve essere così?
«È una canzone molto urlata e sofferta, in cui ci sono esplosioni di rabbia. Quindi nel testo questa definizione mi sembrava perfetta. In un contesto quotidiano, però, al giorno d’oggi, credo ci sia bisogno di costruzione e aiuto reciproco. Ma mi sono presa questa licenzia poetica per dare enfasi al mio sfogo».
In Top passi da Tinder a Parmenide e Omero.
«Mi viene naturale accostare ispirazioni che fanno parte della mia realtà, anche se sono molto diverse tra loro. Sono comunque tutti elementi presenti nel mio cervello. La pop culture che si mischia a riferimenti alti ormai è un tratto distintivo del mio stile».
Ma il romanticismo al tempo di Tinder esiste ancora?
«Mi chiedo che cosa sia il romanticismo: l’amore romantico o vivere l’amore tutti i giorni nella propria vita in tutte le forme? Per me essere romantici oggi significa cogliere l’amore in tutte le sfaccettature. Ci sono tante forme di amore. C’è l’amore sentimentale, quello lussurioso, ma anche quello affettivo. E secondo me il romanticismo moderno è vivere appieno tutti questi tipi di amore. Comunque, nel disco le canzoni che parlano d’amore ne parlano assolutamente senza orpelli romantici».
Fa eccezione solo 100 rose per te con Quentin40.
«Sì, è quella più trasportata. Perché a Quentin voglio davvero tanto bene. È molto bravo e poi quando per me si è dichiarato pronto al Quentin41BIS mi ha veramente colpita al cuore. Ma l’amore romantico, romanzato, non è un valore assoluto, lo vedo incluso in ogni tipo di amore, come dicevo prima».
Con Mortacci tua e Clique trasporti chi ascolta in Messico. Come mai hai scelto questa ambientazione?
«È un disco colorato, aperto e caleidoscopico. E l’immaginario messicano è quello che più si avvicina a questa visione. Sono sempre stata affascinata dalle sonorità del Messico, ma anche dalla sua rappresentazione filmica. Mortacci tua è venuta fuori decisamente tarantiniana e anche Clique con la presenza di Populous si sposa bene con suoni e colori di quella terra».
Le sonorità dell’album vanno dal Medio Oriente ai Caraibi: hai cercato un’impronta cosmopolita anche sul piano musicale?
«Sì. Ci sono ispirazioni che arrivano da posti lontani. Ma quando studio e ricerco non mi pongo limiti, mi viene spontaneo mixare tutti questi mondi e farli coesistere all’interno del mio universo».
Fa paura perché è vero con Mahmood è il brano in cui ti sveli di più ed è quello che chiude il disco.
«È il più intimista. È un pezzo in cui si gettano le armi e ci si svela. E doveva essere l’ultimo, proprio perché rappresenta il calore intimo che si prova quando ci si mette a nudo».
Alice Castagneri, lastampa.it