Era uno zingaro, un manouche, eppure è stato ed è ancora il chitarrista più amato della storia del jazz.
Django Reinhardt, un uomo libero che trasformava la sua musica in genialità e libertà. Solo l’America non l’ha compreso, e lui a sua volta non ha capito l’America, perché per lui la musica era l’unica ragione di vita. Lo deluse anche il jazz, in America, e soprattutto il pubblico, anche se suonò con l’orchestra di un gigante come Duke Ellington.
Personaggio complesso e di difficile lettura, Django viene radiografato, privilegiando il suo rapporto con il cinema, nel bel libro di Giandomenico Curi Django Reinhardt, una leggenda manouche fra cinema e jazz (Casa musicale eco editore). Negli anni Trenta e Quaranta, a Parigi, il cinema di grandi come Renoir gli passò accanto senza vederlo ma poi, dopo la sua assurda morte (maggio 1953) non smetterà più di parlare di lui, del suo rapporto con il magico violino di Stéphane Grappelli (altro personaggio mitico) o di quello con il geniale Cole Porter. Si arriva nel nuovo millennio con i film ispirati a Reinhardt, e uno dei più riusciti è Swing (2002) di Tony Gatlif, che racconta la storia di un giovane gitano che si innamora del jazz nei sobborghi di Strasburgo. Quel giovane è evidentemente Django, quel Django che quando suona la chitarra seduce… come sanno bene anche gli artisti americani (tra questi Coleman Hawkins, il re del sassofono «duro», in contrapposizione a quello cool di Lester Young) che rimarranno colpiti da quel suono amaro, molto jazz ma al di fuori del jazz, blues ma che vive il blues come una sfida.Non si può dimenticare il film (e soprattutto spettacolo teatrale) sempre di Gatlif, Django Drom (si ricorda anche il suo film Natcho Drom), cinema-concerto di gran classe che va oltre l’avventurosa vita del chitarrista portando in scena il dramma del popolo rom con la musica del violinista Didier Lockwood (scomparso l’anno scorso), il chitarrista Birèli Lagréne e una sfilza di artisti e ballerini che mantengono viva la fiamma dello swing manouche, quello inimitato e inimitabile di Django Reinhardt.
Antonio Lodetti, il Giornale