I 57 giorni più difficili di Paolo Borsellino: quelli che vanno dall’attentato di Capaci avvenuto il 23 maggio 1992, in cui vengono colpiti l’amico e collega Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta, al 19 luglio quando sarà ucciso da un’autobomba in via D’Amelio. Li racconta “Paolo Borsellino, l’ultima stagione” di Tommaso Franchini e Alessandro Chiappetta, con la regia di Graziano Conversano, in onda martedì 18 dicembre alle 21.15 su Rai Storia per “Diario Civile”, con l’introduzione del Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. In quei giorni Borsellino si lancia nel lavoro d’indagine, vuole far luce sulla morte dell’amico, scoprendone le cause e trovandone i responsabili. Ma dopo aver visto morire Falcone tra le sue braccia, non è più l’uomo di prima: è indurito, chiuso e si isola persino da amici e familiari. Ai colleghi, Borsellino annuncia: ”Sappiate che questo è anche il nostro destino”. Sa che lui sarà il prossimo obiettivo di Cosa Nostra e un attentato sembra ogni giorno più inevitabile. I carabinieri ricevono informative sull’arrivo di tritolo destinato al giudice mentre alcuni pentiti svelano oscuri legami tra Cosa Nostra e uomini delle istituzioni che non fanno un gioco pulito. Borsellino viene anche informato che uomini dello Stato hanno iniziato un dialogo con i boss mafiosi per arrestare le stragi e avverte attorno a sé un clima di crescente isolamento. Vive 8 settimane di rabbia e inquietudine durante le quali ricorda con amarezza gli anni delle prime indagini di mafia, il sacrificio degli amici come il Capitano dei Carabinieri Emunuele Basile e il magistrato Rocco Chinnici, ripercorre i successi del Maxiprocesso istruito insieme a Falcone ma a anche le delusioni per le successive critiche e delegittimazioni che miravano a smantellare il Pool Antimafia e mortificare Falcone. Diventato Procuratore Capo di Marsala Borsellino subisce l’attacco del famoso articolo di Sciascia sui “professionisti dell’antimafia” ma reagisce alle delegittimazioni con una durissima intervista pubblica che gli procura un procedimento disciplinare davanti al Csm. Nel suo ultimo discorso tenuto alla Biblioteca Comunale di Palermo nel giugno del 1992, Borsellino afferma che la morte di Falcone era iniziata in quella stagione di veleni e parla di “giuda” che lo hanno ingannato. Dimostra di sapere dunque che esistono persone pronte ad abbandonare anche lui, e in un drammatico episodio ricordato da una sua collega, Borsellino per la prima volta parla di aver saputo di “amici che tradiscono”. Ma dimostra anche un senso inflessibile della lealtà e decide di non venire meno a ciò che considera un dovere ineludibile, un obiettivo da perseguire in solitudine e fino in fondo, a costo di rinunciare a tutto. Il 19 luglio in via d’Amelio Borsellino va incontro al suo destino. Alle 16.58 un’autobomba piazzata sotto il condominio della madre, che periodicamente va a trovare, uccide il magistrato e i 5 agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. A ricordare il giudice Borsellino, l’ex Presidente del Senato Pietro Grasso, gli ex giudici del pool antimafia Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello, la Presidente del Tribunale di Marsala, Alessandra Camassa, l’ex Ministro di Grazia e Giustizia, Claudio Martelli, il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo, Roberto Scarpinato, il giudice di Corte d’Appello del Tribunale di Salerno, Diego Cavaliero, e i giornalisti Francesco La Licata, Saverio Lodato, Attilio Bolzoni, Umberto Lucentini e Giovanni Bianconi.