ITMedia Consulting lo chiama «l’effetto Netflix»: di qui al 2020 il la televisione italiana ricomincerà a crescere ma in maniera più selettiva: la tv attraverso la banda larga avrà raggiunto 8,5 milioni di abitazioni dai 3,8 milioni attuali, i ricavi da pay tv saranno ancora più alti di quelli pubblicitari e i tre maggiori operatori scenderanno per la prima volta sotto il 90% del mercato.
Effetto Netflix, si capisce, è un titolo per riassumere quanto mette in luce il nuovo rapporto della società guidata da Augusto Preta: l’effetto in generale è dovuto alla diffusione della banda larga e al suo utilizzo sempre più intenso come piattaforma di distribuzione televisiva con nuove offerte, al cambiamento delle abitudini di visione orientate all’on demand e a alle scelte strategiche dei maggiori operatori oltre che alla crescita di quelli più piccoli.
Innanzitutto ciò che accade nelle case: oggi il digitale terrestre è la piattaforma prevalente per il 54% delle famiglie (quella di riferimento, per intenderci, rispetto alle altre eventualmente presenti in casa), il satellite per il 30% e la broadband tv per il 16%. Nel 2020 ci sarà una sorta di livellamento: il terrestre scenderà al 37%, il sat al 29% e la bbtv andrà oltre il raddoppio, al 34%.
Parallelamente, secondo ITMedia, la modalità di accesso primario per i contenuti tv fra due anni non sarà più la tv gratuita ma quella a pagamento, «una profonda, radicale trasformazione, anche culturale, del nostro paese». E nell’ambito della pay tv non sarà più il satellite la piattaforma più utilizzata (scenderà dal 44% al 30%), ma appunto la bbtv, dal 38% di oggi al 61%, da terza a prima piattaforma in soli tre anni. Dopotutto la stessa Sky con la strategia multipiattaforma e l’ingresso nella banda larga farà la sua parte in questo processo.
Interessanti anche le previsioni sui ricavi: il mercato totale passerà dagli 8,2 miliardi attuali agli 8,8 miliardi del 2020, con un tasso medio annuo del 3,4% ma con il vero scatto proprio fra il 2019 e il 2020.
A portare la fetta maggiore di ricavi sarà la pay tv (43% nel 2020, ora al 40%), mentre la pubblicità sarà ancora sotto (36%, ora al 38%) e il canone seguirà la sua strada. All’interno dei ricavi pay, poi, il satellite scenderà (dal 78 al 68%) mentre la broadband tv salirà al 26% dal 9 attuale, nonostante ricavi medi per abbonato siano molto più bassi.
Nel 2020, insomma, si dovrebbero vedere gli effetti della diffusione della banda larga e del maggiore uso dei servizi on demand non solo da parte dei più giovani. Il vod, si legge nel rapporto, nella duplice forma, per abbonamento (Svod, stile Netflix) e a consumo (Tvod, stile Chili), diventerà una componente sempre più rilevante della pay-tv, rappresentando alla fine del 2020 quasi il 20% del totale. «Un cambiamento significativo», commenta Preta, «anche se il vod non si sostituirà alla pay tv tradizionale, che mantiene le proprie risorse. Rispetto ad altri paesi come Usa, Regno Unito e Nord Europa, non dà luogo ancora a fenomeni di sostituzione, il cosiddetto cord-cutting».
Infine le previsioni su come i vari soggetti si divideranno la torta dei ricavi del settore. E qui ci sarà un altro cambiamento epocale per il mercato italiano se le previsioni saranno confermate: i tre maggiori operatori scenderanno per la prima volta sotto il 90% e arriveranno intorno all’83% per far posto agli altri player che passeranno dal 9% al 17%.
Sky sarà sempre prima e dovrebbe riuscire a non far calare troppo la propria quota di mercato, la Rai dovrebbe scendere dal 28 al 25,5%, senza grandi scossoni grazie al canone, e Mediaset, più esposta sul lato pubblicitario, dovrebbe passare dal 27 al 23%.
Andrea Secchi, ItaliaOggi