Il regista protagonista dell’incontro ravvicinato alla Festa di Roma: “Pasolini un’esperienza potente, da Fellini ho imparato l’importanza di un buon ristorante vicino alla location”
Dopo la regina Cate Blanchett, il pasionario Michael Moore, il regista da Oscar Barry Jenkins, alla Festa di Roma è arrivato il momento del maestro Martin Scorsese. Sala Sinopoli gremita e giovani che fin dalle prime ore del mattino tentavano di accaparrarsi gli ultimi posti dell’incontro ravvicinato col regista di Toro scatenato, Quei bravi ragazzi e Taxi driver dal momento che i biglietti sono andati esauriti il giorno stesso. Standing ovation, applausi a scena aperta sul montaggio – omaggio dei suoi film in occasione anche del premio alla carriera consegnato a Scorsese da Paolo Taviani. In platea Nicola Piovani, Giuseppe Tornatore, Francesca Lo Schiavo e Dante Ferretti.Un grande regista certo, un grande produttore (sono nove i progetti da producer in cantiere) ma soprattutto un grande cinefilo ed è per questo che il direttore Antonio Monda gli ha chiesto di scegliere nove sequenze del cinema italiano che hanno cambiato il suo modo di vedere il cinema e il mondo. “Sono film che mi hanno formato, non i miei preferiti perché dopo ho visto tanti altri film italiani molto belli, ma quando io già ero regista. Questi sono i film che per me non erano cinema: era la vita vera”.
Accattone di Pierpaolo Pasolini: “L’ho visto la prima volta al festival di New York nel 1963 o ’64, è stata un’esperienza potente. Sono cresciuto in un quartiere duro di New York e il primo film che ho visto in cui c’erano personaggi in cui mi riconoscevo è stato Fronte del porto di Elia Kazan, ma era realizzato dagli studios e quindi era un’altra cosa. Ai personaggi del film di Pasolini invece mi sono sentito subito connesso. Io non avevo idea di chi fosse Pasolini, fu uno choc perché venne fuori dal nulla e capivo le persone che raccontava, fui sorpreso dalla santità dell’animo umano. Alla fine di questo film, quando Accattone morendo dice ‘ora sto bene, ho sofferto abbastanza’, lì c’è la sua santità. Persino dove sono cresciuto essere un magnaccia era il peggio, quindi prendere la forma più bassa dell’essere umano, un protettore, e farlo morire tra due ladroni con una prostituta che si chiama Maddalena, rendeva il messaggio chiaro: le persone di strada sono quelle più vicine a Cristo”.
La presa di potere di Luigi XIV di Roberto Rossellini. “Quando avevo 5 anni avevo a casa una piccola tv, dove guardavo i film neorealisti: Roma città aperta, Sciuscià, Paisà e Ladri di biciclette. A me apparivano come vita vera e avevano qualcosa che si ricollegava con la mia famiglia. Non sembrava cinema ma semplicemente la quotidianità. Al festival di New York il film di Rossellini non fu ben accolto, ma quel maestro ha reinventato il cinema tante volte, prima col neorealismo con De Sica e Zavattini, poi con altri modi di fare cinema tra cui questo: alla metà degli anni Sessanta la tv era il mezzo più importante e lo ha sfruttato per fare qualcosa di importante col cinema didattico. Questo film comunque sembra uscito da quadri di Caravaggio o Velázquez per la bellezza della costruzione dell’immagine, ma allo stesso tempo non è un racconto storico astratto. Film come Viaggio in Italia, Paisà hanno condizionato il mio modo di fare cinema, come per esempio in Toro scatenato o Re per una notte, ma hanno avuto importanza anche per i miei ultimi film”.
Umberto D. di Vittorio De Sica “Credo che questo film sia il punto di più alto del neorealismo: dopo le cose sono cambiate. È un film che ha per protagonista un anziano signore che racconta i cambiamenti della società dove una volta le persone più adulte erano rispettate e onorate e oggi chiedono l’elemosina per strada. La cosa interessante di questo film è che non è affatto sentimentale nonostante la musica in crescendo, parla di un uomo che ha bisogno di mangiare e usa il suo cane per sopravvivere. Normalmente nei film chi è carino con gli animali fa diventare la scena sentimentale ma invece lui ha pensato di far lavorare il cane perché così tutti saranno carini nei suoi confronti”.
Il posto di Ermanno Olmi. “È un film molto speciale, i distributori in America avevano i cinema più importanti di New York e Olmi amava talmente il film che il primo giorno lo proiettò gratis. Questo film e I fidanzati sono stati fatti con uno stile che aveva ereditato dai documentari e che era molto vicino al mio modo di vedere il cinema. Titoli come L’avventura, La strada, 8 e 1/2 sono entrati veramente nella mia vita ma Il posto ha questo senso di purezza, nonostante la disperazione del dopoguerra e dell’industrializzazione, che poi ho cercato di riportare in alcuni dei miei film come Toro scatenato“.
L’avventura di Michelangelo Antonioni“Il primo film di Antonioni che ho visto è L’avventura e ho dovuto imparare come leggerlo, perché il mio modo di osservare le immagini del cinema viene della età d’oro del cinema, sia hollywoodiano che straniero: questo mi ha dato la possibilità di imparare a concentrarmi e osservare l’immagine cinematografica. C’era un grande conflitto tra La dolce vita e L’avventura all’epoca dell’uscita, io ho imparato e fatto esperienza da un film come L’avventura soprattutto per quel che riguardava lo spazio. In un certo senso per me era come l’arte moderna. Che forse non capisco (mi hanno sempre detto che quello che va oltre la Madonna con bambino non lo capisco), ma il finale de L’avventura è uno dei finali più belli di sempre”.
Divorzio all’italiana di Pietro Germi “Ho studiato questo film per trovare lo stile di Quei bravi ragazzi, in particolare l’umorismo e l’arguzia dei movimenti di macchina di questa commedia. Sono stato sempre colpito dall’uso del bianco e nero e dallo stile satirico di Germi, tutta la storia sta sulle spalle di Mastroianni fin dalla prima scena in cui dal treno decanta le bellezza della Sicilia, c’è satira ma anche verità in questo racconto”.
Salvatore Giuliano di Francesco Rosi “È difficile parlare di questo film. Quando si vede la scena della madre che piange per il figlio morto, non è semplicemente ‘una’ madre, è ‘la’ madre. Rosi ti mostra i fatti e in qualche modo quei fatti non sono la verità perché le radici della corruzione vanno sempre più in profondità, questa è la tragedia del Sud. I miei nonni sono venuti dalla Sicilia nel 1910, mi sono sempre chiesto perché non si fidassero delle istituzioni. Le tradizioni di migliaia di anni al Sud sono stati un peso eccessivo per loro. Non avevo mai visto sullo schermo una madre che piange così un figlio. Fu un’esplosione per me”.
Il Gattopardo di Luchino Visconti “Senso e Il Gattopardo e molti altri lavori di Visconti hanno influenzato L’età dell’innocenza ma in quel film ero molto interessato all’antropologia di quella vita che forse aveva più a che fare con quello che dicevo di Rossellini. Mi interessava partire dal minimo dettaglio per raccontare un macrocosmo. Lui è stato capace di combinare l’impegno politico con l’opera come una sorta di melodramma senza vincoli come con Rocco e i suoi fratelli, che ha molto influenzato il mio Toro scatenato“.
Le notti di Cabiria di Federico Fellini “Il primo film di Fellini che ho visto è stato La strada ma il finale di Le notti di Cabiria è sublime, una rinascita spirituale. Fellini l’ho incontrato alcune volte, una volta sul set de La città delle donne: all’inizio degli anni Novanta avremmo dovuto fare un documentario insieme, o quello che sarebbe stato un documentario alla Fellini sul fare cinema, purtroppo è morto. Quello che mi ha insegnato è che bisognava sempre cercare location vicino a buoni ristoranti, anche se non erano grandi location l’importante è che il ristorante fosse buono”.
Chiara Ugolini, Repubblica