Federica Sciarelli, una vita in tv e due milioni di fan. “‘Chi l’ha visto?’ è la mia casa, non potrei essere altrove”

Federica Sciarelli, una vita in tv e due milioni di fan. “‘Chi l’ha visto?’ è la mia casa, non potrei essere altrove”

Intervista alla giornalista che dal 2004 conduce il programma di Rai3. E che il 9 ottobre spegnerà sessanta candeline, “la stessa età di Madonna e Sharon Stone”

Chi l’ha visto? come una missione, la passione per la politica, un compleanno tondo – 60 anni – tra pochi giorni. “Mica vorrà scrivere la data del compleanno?”. Sì scriviamola: il 9 ottobre. Federica Sciarelli è un pilastro, che ci sia il festival di Sanremo, la Champions League, lei fa il suo risultato: ci sono oltre due milioni di spettatori che la seguono su Rai3. In diverse occasioni ha battuto Rai1, Rai3 è stata la rete più vista. Fotografia di un paese che cambia, ritratto noir di famiglie italiane – spesso felici solo all’apparenza – Chi l’ha visto? è rimasta la trasmissione simbolo del servizio pubblico. “E’ bella e faticosa, perché ti porti dietro il dolore, perché chiedere verità e giustizia ti lascia senza forze” racconta la conduttrice. Le passeggiate col pastore tedesco Emma, la palestra, il pattinaggio sul ghiaccio, la sua grande passione, Sciarelli è una sportiva: gira in motorino e viene inseguita dai truccatori.

“Abbiamo un pubblico fedelissimo, sui social si scatenano se mi metto una camicetta colorata” spiega divertita, “ma i nostri spettatori sono veramente speciali, attenti. E’ come se facessero parte della nostra squadra. Notano tutto e ci danno una grande mano. Io ringrazio sempre anche il pubblico in studio, che si paga il biglietto del treno per venire ed è rispettosissimo”. Entrata al Tg3 nel 1987, dal 2004 conduce la trasmissione, che con lei ha riaperto anche i cold case.

Passa per essere una donna tosta. E’ davvero così?
“Ce lo metto tutta. Quando qualche volta mi scappa di dire che sono stanca e voglio cambiare, confesso che le reazioni mi fanno piacere. Mi scrivono: noi come facciamo se vai via? Quando ascolti le storie, per forza ti esponi e dai battaglia. Cosa dici a un padre e a una madre che vogliono sapere la verità sulla morte del figlio? Davvero è partito un colpo perché qualcuno stava pulendo una pistola o c’è dell’altro? Non è solo una vita che si spezza, ma è quella di tutta una comunità. La ricerca della verità è un dovere di tutti, tutti dovrebbero contribuire. Ma è chiaro che questo dolore delle famiglie lo respiro. Lo porto con me”.

Con l’età che rapporto ha?
“Un rapporto positivo, bello. Quando ero piccola era pessimo, mi scambiavano sempre per una ragazzina. Era una mortificazione. Quando andai al Tg3 avevo 28 anni e sentivo i commenti: ‘Ma questa che fa i resoconti del comitato del Pci saprà qualcosa? E’ una ragazzina’. Oggi dimostrare qualche anno di meno fa piacere, come si dice in questi casi, si è rivoltata la frittata. Gli anni passano e resistiamo”.

Sessant’anni tondi: come si vede?
“Bene. Essendo del 1958, come Madonna e Sharon Stone che dicono che si può fare tutto, ci sto anch’io. Il mio anno è il loro, il loro anno è il mio”.

Nasce come cronista politica: la politica è ancora la sua passione?
“Sempre. Mi piacerebbe ancora occuparmene, ascolto tutte le rassegne stampa. Seguire la politica vuol dire sperare, arrabbiarti, soffrire – perché una legge sbagliata sulle pensioni può far piangere tante persone e ha implicazioni pazzesche – ma quando incontri persone che ti chiedono aiuto entrano in gioco i sentimenti. A Chi l’ha visto? conosci padri madri sorelle distrutti. Chi non ha giustizia non metabolizza la perdita. Ma non è solo questo: fare giustizia è anche capire se una persona si è suicidata o l’hanno suicidata”.

A cosa tiene di più?
“Al fatto di dare dignità alle vittime. E alle famiglie. Senza contare le centinaia di persone che aspettano di sapere che fine hanno fatto congiunti spariti nel nulla. Sa cosa vuol dire non avere notizie per anni? Ci sono dei casi a cui sono legatissima, l’omicidio di Ilaria Alpi, che era una mia collega. Insieme a Luciana, la madre, siamo andati fino in fondo e abbiamo fatto uscire di galera Ashi. Io che cerco di mandare i delinquenti in carcere, ho tirato fuori un innocente”.

Cosa le toglie il sonno?
“Tante storie: Serena Mollicone buttata in un boschetto, impacchettata con un sacchetto in testa aspettando di morire, un caso terribile. Quando sono morti i fratellini di Gravina e si è saputo che stavano nel pozzo, il fatto di aver capito che uno dei due fosse rimasto vivo… Quella storia non mi ha fatto dormire per lungo tempo”.

Fare servizio pubblico vuol dire cercare un nonno malato di Alzheimer e un assassino latitante: il programma si muove su un doppio binario.
“Sì, ci sono gli appelli che sono l’ossatura, e le inchieste. Facciamo questo e quest’altro, ci sono storie incredibili. Come quella di un’insegnante rinchiusa in una struttura che aveva un bel conto corrente. Ma stava lì e ci ha scritto per chiederci aiuto. Era senza denti e la dentiera poteva permettersela. Tutte le storie sono importanti: sono orgogliosa anche di aver restituito il sorriso a una signora sola. Il bello è il rapporto con i nostri spettatori che vogliono sapere come vanno a finire i casi”.

C’è il pubblico a casa, ci sono i gruppi d’ascolto e i social.
“Mi mettono il monitor così posso leggere cosa scrivono su Twitter, c’è un gruppo di ascolto a cui non sfugge niente. Per loro sono Sciary, fanno i meme con Sciarel numero 5, commentano perché mi sono messa finalmente una camicetta da femmina e mi sfottono: ahò avete visto come si è vestita la Sciary? Porta una camicetta africana da suonatrice di bonghi”.

E lei?
“Io rido. Mi arrabbio solo quando prendono in giro i parenti delle vittime”.

Il suo è l’unico studio dove non si applaude.
“E’ vero. L’unica volta che ho strappato l’applauso è stato per ricordare Luciana Alpi, ed è stato commovente, come se in quel momento fosse una loro parente. Poi sono stati applauditi i cani che scavano nelle macerie. E c’è stato un applauso caloroso quando abbiamo riportato a casa la ragazzina finita nelle mani di un pakistano. Certe volte, dopo settimane e settimane in cui segui il caso e pensi al peggio, applaudire è liberatorio. Un po’ come l’applauso al pilota quando atterri dopo una turbolenza”.

Oltre allo studio di Chi l’ha visto? dove si vedrebbe?
“Se tante volte penso che vorrei cambiare, onestamente è difficile vedermi da un’altra parte. A Chi l’ha visto? siamo una squadra, col direttore di Rai3 Stefano Coletta e il capostruttura Giovanni Anversa abbiamo lo stesso obiettivo, ho libertà d’azione. Più sono vicina ai familiari e più soffro con loro. Abbiamo iniziato la guerra contro gli omicidi stradali, denunciando, raccogliendo testimonianze. In studio da me non ci sono gli esperti, ci sono i familiari”.

Don Ciotti dice: “Non sono neutrale”.
“E’ cosi, io lo dico sempre. Noi siamo di parte perché stiamo dalla parte delle vittime. Mica lo stato di diritto vale solo per il carnefice, che deve avere tutte le garanzie – giustamente ci sono tre gradi di giudizio – ma bisogna sempre pensare alle famiglie, a chi aspetta di sapere la verità e di avere giustizia”.

Quindi non si vedrebbe da altre parti…
La politica l’ho sempre fatta, vengo da lì. I talk politici, lo ammetto, mi appassionano. Ma sono anche bravissima a fare pasta e ceci e le polpette di melanzane. Potrei anche rendermi disponibile per fare qualcosa di più allegro”.

Un programma di cucina?
(Ride) “Perché no?”.

Chi l’ha visto? affronta tanti casi di donne scomparse, maltrattate. Ripete sempre che “una donna non lascia i figli”.
“L’esperienza è importante: mi leggo le denunce con la massima cura e vado a fondo con grande caparbietà . Se una denuncia di scomparsa spiega che una signora è caduta dalla scala mi chiedo subito se è stato un incidente domestico o qualcuno l’ha spinta. Per questo quando entriamo in casa facciamo subito tutte le domande, perché poi, se qualcuno vuole nascondere la verità, è altamente possibile che non ci facciano più entrare”.

Repubblica.it

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