Roberto Sergio racconta il progetto Radio Player Italia

Roberto Sergio racconta il progetto Radio Player Italia

La Rai sta lavorando alla creazione, prevista a novembre, di una associazione per riunire tutte le emittenti radiofoniche italiane nell’aggregatore Radio Player Italia. Iniziativa indispensabile per non farsi spiazzare dalla rivoluzione, attesa entro pochi anni, quando tutte le automobili saranno connesse a Internet e in tante case la radio si ascolterà solo attraverso gli smart speaker. In questo modo, quindi, non ci si ritroverà massacrati da altri aggregatori, targati Google, Spotify, Apple, Amazon, ecc, che potrebbero sostituire la tradizionali emittenti ed erodere buona parte del mercato pubblicitario. L’evoluzione digitale porta Roberto Sergio, direttore Radio Rai e pure past president di Sipra e Rai way, anche a una riflessione su Ter, indagine sugli ascolti che non lo soddisfa proprio per la lontananza dal mondo digitale, ancorata, come è, alle vecchie interviste telefoniche: «Auditel si è attrezzata al digitale. Ter no. E potrebbe essere pericoloso, anche per quello che pensa Upa…».

Domanda. Poiché lei ha una grande esperienza Rai, in pubblicità, nei nuovi media, nei sistemi di trasmissione, nella radio, cosa ne pensa di un futuro, non troppo lontano, in cui ci saranno soprattutto le app, gli ott con i vari contenuti, programmi, serie tv, ecc, e non più i singoli canali con le loro specifiche identità?

Risposta. Noi dobbiamo intercettare il cambiamento, essere preparati al nuovo e a qualunque sviluppo possibile. Ricordiamoci comunque che quando partì il digitale terrestre si disse che la tv generalista sarebbe morta. Così come si disse che la radio avrebbe sofferto con le nuove tecnologie, il web. E invece tutte queste cose vanno avanti in parallelo, non muore nulla. Certo, adesso ciascun utente si costruisce un proprio palinsesto radio-tv, con modalità di fruizione diverse e più semplici.

D. Ma con le smart tv, SkyQ?

R. Però non dimentichiamo che c’è pure la popolazione over 40, che ancora ragiona con vecchi approcci. Secondo me ci vorranno molti anni per la rivoluzione completa.

D. Venendo al mondo radio, qualcuno contesta gli investimenti sul live in streaming, in un mondo dove appunto ciascuno si fa i propri palinsesti, e li ascolta dove e quando li vuole…

R. La radio live in streaming ha costi molto bassi rispetto ai canali televisivi delle radio, ed è di grande qualità. Radio Rai, comunque, punta molto al modello Dab+, proprio perché siamo un servizio pubblico e dobbiamo arrivare a tutti, usando ancora il sistema in Fm che è quello a oggi più semplice e democratico.

D. Quanto investirete?

R. Beh, il gruppo Rai deve investire tanto e in tempi velocissimi per la banda larga, 4G, 5G, app, siti, tv connessa. Noi del comparto Radio abbiamo 12 milioni di euro da investire nella filiera produttiva nel prossimo triennio. Ed entro il 2020 tutti gli studi di Radio Rai saranno studi sia radiofonici, sia televisivi. Ovviamente continueremo a fare radio, ma con telecamere motorizzate e in HD.

D. E Fiorello torna in Rai?

R. Fiorello è un personaggio Rai. E quando fa esperimenti su altre tv o radio, i risultati non arrivano. Non è polemica o critica. È un dato di fatto. Fiorello ha fatto il tardo pomeriggio su Radio Deejay e non ha funzionato molto. Fiorello ha lanciato l’edicola su Sky e Tv8, e l’hanno guardata in pochi. Sulla Rai, invece, Fiorello ha sempre avuto un enorme successo, sia in tv e sia alla radio. Fiorello aggrega le famiglie in un contesto diverso. Il contesto Rai ha modalità di linguaggio e racconto molto lontane da quelle ad esempio di Mediaset.

D. Veniamo alle principali novità di palinsesto dei canali Radio Rai in autunno…

R. Radio Uno e Radio Uno sport, grazie al nuovo direttore Roberto Pippan, tornano a una impostazione basata sulla informazione di qualità, il servizio pubblico, tanta musica e tanto sport per usare tutti i diritti sportivi che abbiamo. Tutte cose che nella passata direzione (Gerardo Greco, ndr) sono state trascurate a favore di una eccessiva deriva verso l’intrattenimento. Radio Due, invece, andrà live 24 ore su 24, aprendo i microfoni alla gente. E di notte, un mondo che avevamo trascurato, ci saranno i due ragazzi di Radio Campus. Radio Tre è il nostro fiore all’occhiello, visto che ha appena vinto il Prix Italia grazie a un documentario sui minatori del Sulcis, tipica operazione da servizio pubblico. C’è poi Radio Due Indie, in digitale, per recuperare il target giovane che già coltiviamo, da piccoli, con Radio Kids. Tutte le radio sono ascoltabili con la app Rai Play radio, in 4G o 5G.

D. Tra cinque anni quasi tutto il parco automobili sarà connesso a Internet. È un pericolo per le radio, che vedono proprio nell’ascolto in automobile la stragrande maggioranza della loro audience?

R. Stiamo per costituire la associazione Radio Player Italia, a cui parteciperanno tutte le radio italiane, nazionali e locali. Un aggregatore per ascoltare le radio in connessione auto. Conto di presentare l’associazione tra un paio di mesi, la Rai crede molto in questo progetto e abbiamo già preso contatti con Radio Player Uk. A metà novembre, peraltro, ci sarà un convegno promosso da Radio Rai nella nostra sede di Roma con tutti presenti, dagli editori radio a Confindustria, dal Ministero dei trasporti fino a tutti i produttori di auto, cui chiederemo di anticipare dal 2020 al 2019 il Dab+ installato sulle nuove auto.

D. La Rai è stata piuttosto critica sulla indagine Ter che misura gli ascolti. A che punto siamo?

R. Nel 2018 sono stati fatti passi avanti straordinari nella gestione della ricerca sugli ascolti. Rimane però una eccessiva altalenanza dei dati da trimestre a trimestre, e continuo a pensare che il sistema Cati, con le interviste telefoniche, non vada bene da solo a fronte di un mondo della radio che sta diventando sempre più full digital. I sistemi di rilevazione, secondo me, devono diventare molto più digitali, e la pensa così pure Upa (associazione che raggruppa le principali aziende che investono in pubblicità, ndr). Il sondaggio telefonico, invece, mi lascia poco tranquillo. Vorrei che la ricerca Ter misurasse gli ascolti radiofonici, e non altri fenomeni influenzati, ad esempio, dalle campagne pubblicitarie o di marketing. Noi come Rai dobbiamo investire le nostre risorse solo sul prodotto, non in comunicazione. Altri, invece, comunicano tantissimo ovunque. Certo, devo ammettere di essere piuttosto solo in questa battaglia. Però, segnalo, Auditel si è attrezzato sul fronte digitale. Se Ter resta ancorato ai vecchi sistemi, potrebbe essere pericoloso.

Claudio Plazzotta, ItaliaOggi

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