Come cambiera la tv?

Come cambiera la tv?

Si scrive tv, ma si legge streaming. Ma che non sia un cambiamento così semplice lo dimostra quello che sta accadendo nel 2018 che ha tutte le carte in regola per apparire come l’anno del «big bang» per la tv del futuro. Si è partiti negli Usa, con l’ok definitivo alla fusione da 85 miliardi di dollari fra il colosso delle tlc AT&T e Time Warner (che per capirsi detiene la Cnn) e con l’ok degli azionisti al deal fra Disney e 21st Century Fox (ora restano altri passaggi regolamentari con la previsione di completare la fusione nella prima metà del 2019). Ma l’onda è arrivata in Europa, andando a dirigersi verso un boccone d’eccellenza: quella Sky che finora ha rappresentato il “gioiello della corona” dello squalo Rupert Murdoch.

Un’asta ha decretato il vincitore della contesa che ha visto duellare Disney e Comcast. Quest’ultima ha vinto l’asta con un’offerta stellare, da 48,6 miliardi di dollari compreso il debito, che ha superato di gran lunga quella della rivale 21st Century Fox. L’ultima offerta dell’azienda guidata da Brian Roberts per Sky è stata di 17,28 sterline per azione. Molto al di sopra dei 15,67 pound di Fox. L’acquisizione dovrà essere ora accettata dagli azionisti di Sky che hanno due settimane di tempo per decidere: la scadenza è l’11 ottobre. Per ottenere il controllo di Sky, Comcast deve aggiudicarsi il 50% più uno dei titoli di Sky.

Non è certo una passeggiata per il colosso americano, che è anche anche uno dei leader della tv via cavo in Usa e proprietaria di Nbc Universal e Dreamworks. Il cui indebitamento, come rilevato dall’agenzia Bloomberg, potrebbe salire sopra i 100 miliardi di dollari. Sul versante opposto, la vittoria di Comcast su 21st Century Fox per aggiudicarsi Sky è stata ritenuta positiva da Moody’s per il profilo creditizio di Walt Disney. Una vittoria di Fox sarebbe stata finanziata interamente da debito, aumentando il leverage di Disney (che sta pagando 70,4 miliardi di dollari in azioni, contanti e debito per acquisire gli asset dell’intrattenimento di Fox, inclusa la quota del 39% in Sky). Secondo Moody’s, se Disney-Fox dovessero cedere la quota in Sky (il 39% è ora di proprietà di Murdoch, che sarebbe voluto salire al 100%) a Comcast, il ricavato (incluso quello derivante dalla vendita di reti sportive regionali, chiesta dalla Giustizia Usa) potrebbe rendere l’acquisizione degli asset Fox quasi interamente in azioni. Così facendo, Disney avrebbe l’opportunità di evitare di indebolire il suo bilancio.

Comcast, dal canto suo poteva permettersi di pagare di più. Ma ora dovrà anche convincere gli investitori della bontà di un’operazione che quanto a sinergie mostra gap rispetto a quello che poteva essere messo in campo con Disney-Sky. La ratio industriale però è innegabile. Il Ceo Brian Roberts sapeva e sa che per resistere alla concorrenza di colossi come Netflix o Amazon il potenziamento della presenza all’estero è condizione indispensabile. Anche perché il mercato della tv via cavo negli Usa è sempre più maturo. Il rovescio della medaglia sta nel fatto che gli investitori temono che l’azienda stia acquistando una pay tv satellitare in un momento in cui il satellite negli Usa non sta dando soddisfazione, come dimostrano i trend di DirecTV e Dish Network.

Ma per Comcast avere Sky significa diventare il principale operatore di pay tv nel mondo – escluso il mercato domestico cinese – con oltre 50 milioni di abbonati, entrando da protagonista in mercati come Italia, Uk, Germania, Irlanda e Austria. Senza contare il fatto che Sky ha in pancia diritti sportivi di gran valore in Europa. Insomma, un apporto importante per un’azienda che nell’ultima trimestrale ha messo nero su bianco la crescita di clienti Internet (+260mila), con un rialzo del 49% rispetto ai 175 mila conquistati un anno prima, ma perdendo 140mila abbonati alla Tv via cavo.

Il cord-cutting non perdona. E l’impatto dei servizi di video streaming si vede anche in questi numeri che ora, peraltro, vanno letti in un contesto sempre più competitivo e affollato. Non a caso nel video on demand starebbe per scendere in campo, e con decisione, Walmart. In realtà il colosso Usa dei supermercati già possiede dal 2010 Vudu, una piattaforma secondo il modello Tvod: paghi per quello che richiedi. Per ora un’esperienza residuale. Nella nuova avventura di Walmart c’è invece lo Svod, il videostreaming in abbonamento, in diretta competizione con Netflix e con una Amazon intenzionata a fare sempre più sul serio con la sua Prime Video. Forti investimenti in contenuti (5 miliardi di dollari quest’anno secondo Bloomberg) e l’attenzione allo sport, ma anche l’integrazione fra video ed e-commerce, come da offerta Prime, fanno di Amazon un player molto temuto. All’elenco si uniscono Youtube Tv (per ora in Usa) e Facebook Watch, la cui espansione su scala globale (con sbarco in Italia solo su dispositivi mobile per ora) è stata annunciata in settimana. Insomma, tutti colossi in grado di darsi spallate non da poco. Fare massa critica è diventata così un’esigenza non procrastinabile.

Netflix in questo senso ha rappresentato un detonatore. Non a caso è diventato il primo bersaglio della “contraerea”: l’annuncio di Disney – un anno fa – di togliere dal catalogo Netflix i propri film e le serie tv nel 2019 (pensando a un proprio servizio che analisti e commentatori hanno battezzato “Disneyflix”) ha segnato un punto di rottura. Certo, anche per Netflix i cieli non sembrano essere proprio privi di nubi. La presentazione degli ultimi conti ha avuto l’effetto di un bagno di realtà. I numeri del secondo trimestre, pur puntando verso l’alto, non sono piaciuti e gli analisti hanno iniziato a vedere nuvole sempre più minacciose all’orizzonte, a partire da quei “total liabilities”, il totale delle passività, a 18 miliardi di dollari, di cui 6 a breve termine. Anche perché l’asticella dei costi per i contenuti continua ad alzarsi: 8 miliardi di dollari nel 2018 con alcuni che si sono spinti fino a prevederne 12.

Comcast ha cercato quindi il salto di qualità, unendo il gioiello della corona a la sua duplice veste: venditrice di internet, telefonia fissa e mobile agli americani ma anche contenuti, con la proprietà di Nbc Universal, con i suoi canali di news (Nbc, Msnbc, Cnbc), canali, parchi giochi. Come 21st Century Fox ha anche il 30% di Hulu, che molti analisti vedono come la risposta globale ai servizi di streaming. Disney va verso il 60% di Hulu dopo aver chiuso l’accordo per la 21st Century Fox. Cosa farà Comcast? Per ora il colosso con sede a Philadelphia stima 500 milioni di dollari in sinergie e la creazione di un flusso di cassa sufficiente a ridurre il proprio debito in un orizzonte temporale tale da non danneggiare il rating.

Andrea Biondi, Il Sole 24 Ore

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