‘Stanotte a Pompei’ è già un successo: ovazione social, Alberto Angela superstar

‘Stanotte a Pompei’ è già un successo: ovazione social, Alberto Angela superstar

In 4 milioni e 200 mila (24,3% di share) hanno seguito il viaggio del divulgatore per raccontare gli ultimi giorni prima dell’eruzione del vulcano ed entrare nella vita quotidiana “della più viva delle città morte”

“Il sole è tramontato, i turisti sono andati via, Pompei è tutta per noi”. Così sussurra Alberto Angela in apertura di programma e in quell’esatto istante ogni singolo spettatore s’illude che stia flirtando solo con lui. Finalmente, su RaiUno, si consuma l’evento Stanotte a Pompei, gran ritorno del divulgatore con uno specialone tipo Meraviglie, boom d’ascolti della passata stagione: 4 milioni e 200 mila telespettatori e il 24,3% di share. Angela superstar. L’attesa sui social è ansiogena, a metà fra la Nazionale in finale ai Mondiali e la prima uscita adolescenziale con un fidanzato. Fioccano tweet dai toni definitivi, “Finché ci sarà Alberto Angela non potrò mai innamorarmi di nessun altro. E questo è tutto”, “Ho riattaccato l’antenna alla tv solo per vedere Alberto Angela”, “Finalmente qualcosa per cui valga la pena stare davanti alla tv”. Un viaggio magnifico che da domani sarà disponibile in dvd con la Repubblica, 5 puntate che racconteranno dopo Pompei, Venezia, San Pietro, il Museo Egizio di Torino e Firenze. Lo splendore di Pompei in forme e luoghi mai visti dal pubblico, fra strade in basolato, ville affrescate, bordelli, botteghe, vitigni, natura. Ma anche Ercolano, Oplontis, Stabia. Angela racconta storie di donne e uomini e vita quotidiana. All’ombra della montagna che cancellerà tutto, trasformando Pompei in “la più viva delle città morte”. In questa passeggiata nella Storia incrocia alcuni ospiti. Giancarlo Giannini “interpreta” Plinio il Giovane, che tutto raccontò da testimone e studioso. Con Marco D’Amore si incontra in via dell’Abbondanza, dove vivevano “molti pompeiani ricchi, alcuni chiacchierati”. Insieme parlano di Giunio Polibio, ex schiavo che, una volta liberato, aveva fatto i soldi col commercio del pane. “Un traffichino, un disonesto, un ras, un Al Capone del quartiere”. Sembrano chiacchiere da cortile sui vicini di casa, “Faustilla – dice D’Amore – prestava i soldi a strozzo al quaranta per cento”. Per non parlare di quel banchiere che campava sfruttando le donne, “aveva un termopolio, una specie di bar, ma solo di facciata: le cameriere erano tutte prostitute”. “Lupe”, come i romani definivano in modo spregiativo “le prostitute di più basso livello”. Angela lo spiega entrando in un lupanare, “quello di Africanus e Victor”, uno dei molti che animavano la vita dei pompeiani. In cui le donne “avevano nomi greci pur non venendo dalla Grecia, ma solo per darsi un tono esotico, orientale”. Inutile l’agitazione della frangia social che alimenta il culto di Alberto sex symbol e spera in un ammiccamento favorito dai celebri affreschi licenziosi: lui si muove con la consueta eleganza, accenna ai quadretti erotici come a “qualcosa di osée”, osserva che “si vedono diverse posizioni”, anzi, “diverse situazioni di amplessi”, “spinti ma mai volgari, com’era tipico dell’approccio romano alla vita sessuale”. Il viaggio continua, Angela illustra la “popina”, il bancone con le aperture circolari in cui venivano “affogate” le giare con i legumi, il farro, il frumento, “qualcosa di più di una tavola calda, una specie di alimentari, uno spaccio in cui si poteva acquistare cibo o anche mangiarlo”. Toh, un sesterzio: in realtà parecchi, sembra che in quel luogo, gestito da tal Vetuzio Placido, ve ne fossero l’equivalente di 3500 euro. “Questo – dice Angela girandolo fra le dita – è un sesterzio con il volto di Nerone: non è emozionante avere in mano una moneta che è stata usata fino a poche ore prima dell’eruzione?”. La catastrofe si avvicina. “In quest’ultima notte di Pompei – dice Angela – tutto tace. O forse no. Sentite anche voi questa musica, questo suono? Sembra quello di un violino…”. Entra in un vicolo, percorre una scalinata, accede dall’alto al Teatro Piccolo, l’anfiteatro, c’è Uto Ughi che suona Mozart. Il musicista, racconta Ughi, aveva visitato Napoli e Pompei a quattordici anni, e dopo aver visitato il Tempio di Iside fu ispirato per il flauto magico. “#AlbertoAngela, #Pompei, Uto Ughi, Mozart: un’overdose di bellezza” twitta @Alessandra5987; “Uto Ughi che parla di Mozart, livelli altissimi”, scrive @MipiaceBarca; infine “Alberto, Pompei, Uto Ughi, Mozart. Ma che roba bella!”, twitta @HuliaB. Gli ospiti non sono finiti, la studiosa dell’antichità Eva Cantarella fa luce su Poppea, e sulla sua fama di donna dissoluta, in realtà – spiega la prof – era una donna molto bella e istruita e pare fosse una imprenditrice. “La Chiara Ferragni del passato”, twitta @Fraramente, “Poppea ai tempi nostri avrebbe un account instagram con 30 miliardi di followers – posta @sempreciro – e ci convicerebbe tutti a lavarci nel latte d’asina”. Al maestro del colore e della luce, Vittorio Storaro, è affidato il racconto delle scelte cromatiche all’interno della Villa dei Misteri. “Il colore va conosciuto e noi abbiamo perso questa conoscenza. Se non si conoscono le cose – dice Storaro – se ne ha paura”. “Vittorio Storaro che cita Ippocrate e parla di colori. Ora piango #StanotteaPompei”, scrive su Twitter @twitteliali, le fa eco @elleelleerre: “Sono estasiata dal racconto di Vittorio Storaro sul colore”. Ogni minuto del programma è un successo a sé. Si sposta sul Vesuvio, eccolo camminare in cima, “siamo a 1200 metri”, per spiegare nei dettagli come andò. Nell’ultima notte di Pompei Angela ci conduce all’interno di una domus “da ricchi”, la domus del Menandro, 1800 metri di casa, immensa. E mostra dove, e facendo cosa, di lì a breve gli ospiti della casa sarebbero stati travolti dalla catastrofe. C’è il racconto drammatico dell’esplosione e dell’eruzione, i lapilli come bombe, la fuga di un’intera popolazione, la tempesta di cenere che tutto ha ricoperto. La cronaca della catastrofe si concentra sulle vite perdute. Come quelle dei corpi raccolti nell’Orto dei fuggiaschi, “una specie di carovana che cercava forse di raggiungere il porto. Piccoli gruppi – spiega Angela – che camminavano vicini nel silenzio, intorno l’inferno. Cercavano di andare verso la salvezza ma a un certo punto è arrivata questa corrente di cenere e vapore che li ha avvolti. Sepolti vivi. Queste, conclude Angela – non sono statue. Dovete ricordarlo. Queste sono persone. Quello che vedete è il loro ultimo istante di vita. Un’umanità che riempie le pagine dei libri di archeologia. Ma anche i nostri cuori”.

Giulia Echites, repubblica.it

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