Le ‘luci d’Africa’ di Cinesahel, i film del continente nero arrivano nel cuore di Palermo

Le ‘luci d’Africa’ di Cinesahel, i film del continente nero arrivano nel cuore di Palermo

A Ballarò, pulsante quartiere-mercato del capoluogo siciliano, una rassegna dedicata al cinema africano, in programma per due fine settimana dal 28 al 30 settembre e dal 5 al 7 ottobre: “Il festival ora è anche un atto politico”, spiegano gli organizzatori

Se chiedi a un africano di raccontarti il cinema del suo continente, di elencare i cineasti del suo Paese, molto probabilmente non saprebbe rispondere. Questo non certo perché l’Africa non ha avuto i suoi Godard e i suoi Pasolini, anzi, ma perché il sistema distributivo totalmente in mano agli statunitensi e ai francesi ha inondato il mercato africano di film stranieri, non permettendo ai registi locali di emergere e presentare i propri titoli. È quindi anche con l’obiettivo di far conoscere il cinema africano agli africani che il festival Cinesahel viene organizzato a Palermo. Sì, proprio a Palermo e in maniera specifica a Ballarò, perché chiunque si sia mai trovato a passeggiare per quel quartiere del centro storico del capoluogo siciliano, si sarà reso conto, anche ci fosse stato un’unica volta, di avere a che fare con un micromondo, un’area multietnica in cui non esiste una nazionalità prioritaria. Ce ne sono di maggioritarie però, come quella africana appunto, per altro bene integrata con la autoctona, palermitana, ed è proprio con l’intenzione di creare ‘un abbraccio di quartierè che si è scelto di allestire lì la prima edizione della rassegna dedicata al cinema africano che animerà Palermo per due fine settimana, dal 28 al 30 settembre e dal 5 al 7 ottobre. Cinesahel. Luci d’Africa a Ballarò è stata curata da Nomadica, associazione per la diffusione del cinema autonomo, in collaborazione con il circolo Arci Porco Rosso, luogo dove si svolgeranno le proiezioni in alternanza agli spazi aperti, le piazze e le strade di Ballarò. Federico Epifanio e Naomi Morello, entrambi fotografi e giovanissimi, 26 anni, sono i direttori artistici del festival. “Il nome, Cinesahel, deriva proprio da quella zona del continente che comprende il Senegal, la Mauritania, il Mali, il Niger e Burkina Faso“, racconta Federico. “Abbiamo messo in rassegna i grandi maestri della cinematografia africana, con film che vanno dal 1963 al 1998. C’è ad esempio Ousmane Sembène, scrittore senegalese che ha deciso di iniziare a fare cinema perché il suo messaggio sociale arrivasse anche alle masse non scolarizzate. Lui è l’autore del primo cortometraggio e del primo lungometraggio dell’Africa nera, realizzati entrambi in lingua locale e non in francese, un gesto potentissimo”. In rassegna c’è anche Djibril Diop Mambety, considerato il Godard africano, uno degli sguardi più taglienti del cinema del Sahel, area sub-sahariana. “Il suo Touki Bouki è stato restaurato nel 2008 dalla World Cinema Foundation di Martin Scorsese attraverso il laboratorio L’immagine ritrovata della Cineteca di Bologna”. C’è Med Hondo, mauritano, che guarda all’Europa affrontando il tema della migrazione “non come la intendiamo oggi, ma in maniera perturbante e visionaria. Il suo Soleil O, che chiuderà la rassegna, ha battute e dialoghi spiazzanti, se ascoltati oggi”. Tutto questo verrà mostrato, nella maggior parte dei casi per la prima volta, ai componenti della comunità africana di Ballarò “ma naturalmente anche a noi. È giusto che anche noi facciamo un passo verso di loro, per conoscere la cultura africana, cosa che loro sono costretti a fare tutti i giorni per integrarsi. Quando abbiamo iniziato a pensare al festival non immaginavamo minimamente la situazione sociale in cui ci troviamo oggi – dice Federico – Cinesahel ora è anche un atto politico, di controcultura”.

Il film politico ma visionario. Nel 1973 dirigendo Touki Bouki, Djibril Diop Mambety racconta l’urgenza dei giovani del suo paese, il Senegal, di lasciare l’Africa per cercare una vita migliore in Europa. Ma lo fa con lo stile fantasioso di George Méliès e l’approccio moderno e avanguardista di Jean Luc-Godard. Touki Bouki racconta di due innamorati che sognano Parigi. Mory, un pastore la cui mandria è stata portata al macello, gira per la frenetica Dakar a bordo della sua motocicletta personalizzata sul manubrio con due corna di zebù. Anta è una giovane universitaria stanca della vita in una città di provincia. Per trovare il denaro necessario per la partenza, Mory è pronto a fare qualsiasi cosa, tranne che separarsi dalla sua motocicletta. Una delle immagini più famose di questo film, che è stato un flop commerciale al momento dell’uscita, è proprio il mezzo busto di Mory sulla sella della sua motocicletta dietro le imponenti corna: lo stesso fotogramma è stato ripreso quarantacinque anni dopo da Jay Z e Beyoncé che, a giugno di quest’anno, ne hanno fatto l’immagine promozionale del loro tour, On The Run II.

La tragicommedia. Le Franc pure di Djibril Diop Mambety è la prima parte di una trilogia intitolata “Histoires des petites gens” rimasta incompiuta a causa della prematura morte del regista (1998). Il film racconta di Marigo, allegro musicista, la cui maligna affittuaria, però, rende la vita difficile: per scontare i pagamenti arretrati gli confisca la sua Congoma. Per riscattare lo strumento, Marigo prova allora con la lotteria di Stato e per paura di perdere il biglietto lo incolla alla porta di casa. Il suo numero è vincente, purtroppo però il biglietto non si stacca più dalla porta. Marigo allora è costretto a recarsi a riscuotere la vincita con tutta la porta. Le sue sfortune non sono finite qui, però, perché il codice identificativo del biglietto è sul retro. Allora, con la porta sottobraccio, Marigo si mette in cammino, attraversa tutta Dakar e arriva all’oceano. Seduto su uno scoglio lascia che le onde accarezzino il prezioso legno staccando naturalmente e restituendogli il biglietto vincente.

L’animazione. A Cinesahel c’è pure Moustapha Alassane, cineasta del Niger indipendente degli anni Sessanta. Quando Alassane abbandona la carriera di meccanico per fare cinema, i suoi primi film d’animazione sono semplici proiezioni di ritagli di cartone. Oggi c’è chi dice che Alassane non ha studiato l’animazione perché l’ha inventata. Il suo obiettivo, comunque, era rendere la satira politica in storie giocose con creature marine, rane-pugili, cowboy e pescatori coraggiosi. Ha realizzato parodie dell’atteggiamento colonialista nei confronti degli africani neri con una serie di film animati, immaginari e influenti anche oggi. A Ballarò saranno proiettati il suo Bon Voyage Sim, del 1966, uno dei primi cartoni africani, che racconta di un villaggio di rospi governato dal presidente Sim il quale vive una vita sontuosa e lussureggiante, passando però la maggior parte del tempo fuori dal suo Paese. Per questo, al ritorno dal suo ultimo viaggio, Sim verrà spodestato. E Kokoa, corto di tredici minuti in stop-motion in cui si susseguono combattimenti di wrestling durante i quali a fronteggiarsi sono un rospo, un camaleonte, un uccello e un iguana. Arbitra un granchio.

Giulia Echites, repubblica.it

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