“Un finale così ha spaventato anche noi, è davvero demoniaco. È come se in questo film ci fosse stato un quarto sceneggiatore diabolico”. È quello che aveva detto all’ANSA Pupi Avati al primo giorno di riprese, a Forte Bravetta, de ‘Il signor Diavolo’ tratto dal suo ultimo romanzo omonimo edito da Guanda. Ora, a fine riprese, racconta che, a modo suo, lo zampino il diavolo ce l’ha messo davvero. “A metà riprese uno degli attori, Gabriele Lo Giudice, si è rotto il menisco e ci siamo trovati nei guai. Abbiamo girato delle scene con una controfigura o facendolo montare sul carrello della macchina da presa. Insomma un problema non da poco” dice il regista. E aggiunge: “Il demonio a volte ci ha aiutato: volevamo la pioggia e pioveva davvero”.
Un ritorno al cinema-cinema quello di Avati con questo film, in sala forse a gennaio 2019, scritto , insieme al fratello Antonio e al figlio Tommaso (RPT Tommaso) e prodotto da DueA (RPT DueA) e Rai Cinema e anche un ritorno ai demoni del passato, al romanzo gotico e a quel ‘La casa delle finestre che ridono’ (1976) che è rimasto dentro il suo cuore. “Alla mia età avevo voglia di tornare al cinema con cui ho cominciato a misurarmi da bambino, a quelle cose che mi spaventavano quando credevo ci fosse il male assoluto, in quell’atmosfera pre-conciliare dell’Italia anni Cinquanta dove i bambini erano immersi tra paura e sacralità”.
Il signor Diavolo, girato principalmente a Rovigo, ha nel cast, tra gli altri, Gianni Cavina, Alessandro Haber, Lino Capolicchio e Massimo Bonetti. Siamo negli anni Cinquanta e il pubblico ministero Furio Momentè sta raggiungendo Venezia da Roma, inviato dal tribunale per un processo delicato. Un ragazzino di quattordici anni ha ucciso un coetaneo, e la Curia romana vuole vederci chiaro, perché nel drammatico caso è implicato un convento di suore e si mormora di visioni demoniache. All’origine di tutto c’è la morte, due anni prima, di Paolino Osti. Malattia, hanno detto i medici, ma secondo Carlo, il suo migliore amico, Paolino è morto per una maledizione: Emilio lo ha fatto inciampare mentre, in chiesa, portava l’ostia consacrata per la comunione. Sacrilegio… E Paolino sul letto di morte avrebbe mormorato: “Io voglio tornare”. “Far tornare” l’amico per Carlo è diventata un’ossessione che ha messo in moto oscuri rituali e misteriosi eventi.
“Per millenni il demonio è stato il contraltare del bene supremo e Satana esisteva in quanto esisteva Dio. Io – spiega Avati – rievoco quel mondo contadino arcaico degli anni Cinquanta che si sentiva come punito dalla grande alluvione del Polesine”. Comunque nessuna autobiografia: “Tranne per il fatto che sono stato chierichetto, ho frequentato la Chiesa e sono stato uno sfollato. Il prete allora veniva visto come una figura intermedia, uno che recitava formule magiche, uno che dava le spalle ai fedeli durante la Messa. Insomma un mondo legato al fantastico in un tempo in cui c’era poco”.
Francesco Gallo, ANSA