Intervista a Barbara Carfagna, la giornalista che al Tg1 racconta il mondo dell’innovazione e che presenterà il nuovo ciclo di puntate
Torna su Rai Uno Codice – La vita è digitale, trasmissione dedicata alle sfide del futuro e a come le tecnologie influenzano – nel bene e nel male – le nostre vite. Autrice e conduttrice del programma, giunto alla sua seconda edizione, sarà ancora una volta Barbara Carfagna. La giornalista e volto del Tg1 ha raccolto ormai da anni in Rai la sfida di raccontare i punti di contatto meno conosciuti tra scienza e quotidianità, “sperimentando nuovi modi di rappresentare le storie che scoviamo e cercando di fornire un servizio ai telespettatori per guidarli alla comprensione di cambiamenti che in, alcuni casi, sono già avvenuti”, come ha spiegato la stessa conduttrice ad Agi.
Quanto è vicino un incrocio tra uomo e macchina?
“Ormai per certi versi siamo tutti cyborg. Il fatto che non ci separiamo mai dallo smartphone e che siamo sempre ripresi determina una costante interazione tra uomo e macchina. Poi c’è chi il device ce l’ha integrato nel proprio corpo, come nell’esperienza di alcune migliaia di svedesi, che si sono fatti impiantare un chip sotto pelle e lo usano per prendere la metropolitana, pagare alla cassa o entrare in casa e a lavoro. Ma abbiamo intervistato anche Neil Harbisson, che avendo difficoltà a vedere i colori si è impiantato un’antenna che li converte in suoni, così da avere in qualche modo una percezione delle informazioni che arrivano dal mondo circostante”.
Esseri umani potenziati?
“Ormai sulla spinta della Silicon Valley siamo di fronte a un superamento della condizione umana. Non stupisce che proprio in California sia nato un partito transumanista e che le grandi aziende investano milioni di dollari su temi come l’immortalità, di cui abbiamo parlato in trasmissione l’anno scorso. Ma basta pensare alle tecnologie mediche: un esempio sono le tecniche che consentono di tagliare e modificare il Dna umano. Soluzione fantastica se si ha nel ceppo familiare una malattia genetica, ma può anche essere terrificante se si pensa agli utilizzi che se ne potrebbero fare in ambito militare”.
Quali difficoltà comporta affrontare temi così complessi in televisione?
“Da otto anni faccio questo tipo di ricerca e studio quali metodi funzionino meglio per portare queste storie sullo schermo, per esempio con la conduzione di Infosfera sempre su Rai Uno. Su temi più teorici sono di grande aiuto immagini artistiche in grado di mostrare i concetti che vengono affrontati durante un’intervista. Il problema si pone meno quando si va all’estero in Paesi come la Cina e il Giappone, dove l’innovazione è molto più integrata nella quotidianità ed è quindi anche più facile da raccontare. Una novità è che quest’anno siamo andati anche nei Paesi africani, dove la tecnologia in molti casi è usata più che da noi, soprattutto per quanto riguarda operazioni quotidiane come i pagamenti”.
Che tipo di spettatori si aspetta?
“Da un lato ci sarà il pubblico che generalmente non guarda la televisione generalista e che sarà incuriosito dalla trasmissione, e dall’altra avremo un un pubblico che vuole imparare e saperne di più. Ma la nostra idea di trasmissione va oltre lo schermo: con l’utilizzo di hashtag e parole chiave diamo al telespettatore la possibilità di riprendere e riapprofondire un tema utilizzando Internet o riguardando le puntate di Codice su RaiPlay. Servizio che si è rivelato molto utile – e molto utilizzato – nella scorsa edizione del programma”.
Un linguaggio in continua evoluzione.
“Sì, e anche un salto che è necessario fare. Ricordo che molti anni fa nel telegiornale non si amava parlare di Internet, e che ogni volta era necessario spiegare di cosa si trattasse. Una barriera che abbiamo iniziato a rompere all’epoca avviando un percorso che è ancora in divenire. Oggi con RaiPlay se uno spettatore vede una puntata e dopo qualche mese succede qualcosa sullo stesso tema, lo spettatore può tornare a guardare vecchi episodi del programma nel momento in cui gli torna più utile”.
Quindi la tecnologia rompe anche consuetudini che sembravano immutabili?
“Certamente, se pensiamo che in Silicon Valley non solo stanno studiando l’immortalità ma anche in qualche modo sostituendo la religione con una narrativa che passa per le serie tv di Netflix e che ricostruisce una nuova simbologia per un fondamento quasi religioso della tecnologica. In una puntata parleremo di governance con il ministro digitale di Taiwan Audrey Tang, che sta facendo i primi esperimenti di open-governance in piccoli villaggi, tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta. Ma parleremo anche della Russia, dove Putin punta molto sull’intelligenza artificiale, e della Cina, dove si sta sperimentando la prima esperienza di social rating [sistema nel quale i cittadini sono chiamati a darsi un voto tra di loro, ndr], come in una puntata di Black Mirror”.
Di tutte le esperienze che avete raccolto, qual è quella che l’ha disturbata di più?
“Quello che mi ha spaventato di più è sicuramente l’esperimento di social rating in Cina. Temo sia qualcosa che può disumanizzare le persone nel tentativo di creare una società migliore. Ma anche le armi autonome fanno paura”.
Quella che più ha apprezzato?
“Al Mit di Boston studiano un sistema per capire, tramite dei sensori, quali sono gli elementi che ci causano maggiore stress. L’idea è che se possiamo quantificare lo stress che proviamo nell’arco della giornata, l’indomani potremmo decidere di eliminare le cose più fastidiose per stare meglio. Così questo sistema assomiglia un po’ a un oracolo, che analizza il nostro stato d’animo e ci consiglia quali decisioni prendere il giorno dopo per poter stare meglio”.
Raffaele Angius, Agi