Jeffrey Tambor lascia «Transparent» dopo le accuse di molestie

Jeffrey Tambor lascia «Transparent» dopo le accuse di molestie

Accusato da due colleghe, il protagonista della serie di Amazon annuncia che lascerà la serie e non ci sarà nella quinta stagione. «Questo non è più il lavoro per cui ho firmato quattro anni fa»

Addio a Maura Pfefferman. Dopo le accuse di molestie sessuali che hanno travolto (anche) Jeffrey Tambor, il protagonista di Transparent ha deciso di abbandonare la serie. «Essere Maura Pfefferman in Transparent è stato uno dei più grandi privilegi ed esperienze creative della mia vita», ha detto al sito americano Deadline l’attore, che per il ruolo ha vinto un Emmy e un Golden Globe. «È diventato chiaro nelle scorse settimane, però, che questo non è più il lavoro per cui ho firmato quattro anni fa». «Ho già spiegato di essere molto dispiaciuto se qualcuno ha interpretato le mie azioni come aggressive, ma l’idea che io abbia deliberatamente molestato una persona è semplicemente e completamente falsa», ha continuato Tambor nell’intervista rilasciata domenica 19 novembre. «Data l’atmosfera politicizzata che sembra aver afflitto il nostro set, non vedo come possa tornare a Transparent». Tambor, volto della pluripremiata sit-com di Amazon su un padre di famiglia che rivela di essere transessuale, ha ricevuto due accuse di molestie. Il 14 novembre, la sua ex assistente Van Barnes, ha scritto in un post di Facebook che il suo ex capo le avrebbe fatto ripetute avances e commenti volgari, l’avrebbe palpeggiata e minacciata di denunciarla se avesse parlato. Poco più di una settimana dopo, anche l’attrice Trace Lysette, che ha lavorato con Tambor in Transparent, gli ha rivolto accuse molto simili. Il protagonista ha sempre negato, ma pare che i produttori stessero già valutando di escludere il personaggio di Maura dalla quinta stagione, come hanno già fatto gli autori di House of Cards con Kevin Spacey, licenziato dopo lo scandalo che lo ha travolto. Tambor ha preferito giocare d’anticipo.

 

Margherita Corsi, Vanity Fair

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