Una radio sportiva, una per i millennial, dirette video per tutti i programmi e massicci investimenti sulle trasmissioni in digitale. Parte da qui la riscossa di Radio Rai voluta dal direttore Roberto Sergio
Per la prima volta nella storia della Rai, i palinsesti radio sono stati illustrati alla presenza contemporanea di presidente e direttore generale. Il 28 settembre al Teatro Dal Verme di Milano, Monica Maggioni e Mario Orfeo insieme al direttore di Radio Rai, Roberto Sergio, hanno sottolineato l’impegno del Cda di Viale Mazzini nel rilancio del mezzo. “da quando ho assunto la direzione di Radio Rai il mio principale obiettivo è stato mettere la radio al centro dell’interesse del gruppo. In passato la radio è stata vissuta come un mezzo antico e meraviglioso, in cui tutti si sono formati e sono nate grandi cose, ma poi è stata relegata a un ruolo marginale”, dice Roberto Sergio, che pochi giorni prima dell’upfront milanese ha presentato ai vertici Rai le linee guida della nuova centralità telefonica.
Prima – Da dove parte questo percorso?
Roberto Sergio – Dalla consapevolezza della nostra forza. Siamo una struttura dove lavorano 800 persone di cui più di 200 giornalisti. Una potenza di fuoco che impatta su tre canali generalisti, Radio1, Radio2 e Radio3, su canale di pubblica utilità Isoradio, su Gr Parlamento e sui nuovi canali digitali
Prima – E qual è il suo compito come direttore di Radio Rai?
R. Sergio – Abbiamo voluto che il nostro canale di informazione fosse ancora più fresco e aggiornato, più social e digitale. Il cambiamento è iniziato facendo vedere in streaming e sui social i volti dei personaggi che animano i programmi, dando così visibilità a quelle che finora sono state solo voci.
Prima – Gli studi sono attrezzati per il video?
R. Sergio – Abbiamo varato un piano di modernizzazione che entro il 2018 metterà all’interno di tutti gli studi di Roma, Milano e Torni webcam e impianti luci in grado di riprendere quello che accade dentro e fuori, quindi anche in regia. Radio Rai si apre così ad una nuova dimensione visuale che si affianca a un’altra importante novità sul fronte digitale: la nuova app Radio RaiPlay presentata a Milano. È organizzata esattamente come la televisiva RaiPlay ed è pensata per dare ai nostri programmi una fruizione immediata, oltre alla possibilità di riascoltare tutto quello che è passato.
Prima – Su Radio RaiPlay, oltre a Radio1, Radio2 e Radio3, sono disponibili anche cinque canali specializzati.
R. Sergio – Esattamente Rai Radio Classica è punto di riferimento per la musica colta italiana e internazionale, antica e contemporanea; Rai Radio Kids è dedicata ai bambini da 2 a 10 anni; Rai Radio Live offre musica dal vivo e manifestazioni sul territorio, un modo nuovo di fare servizio pubblico grazie al taglio pop e mainstream; Rai Radio Techetè valorizza il meglio della radio italiana dal primo dopoguerra a oggi; Radio Tutta Italiana è un flusso musicale con una selezione made in Italy dagli anni Sessanta a oggi. Quest’ultima ha avuto un gran successo perché questa estate nelle fasce notturne l’abbiamo collegata a Gr Parlamento andando quindi anche in Fm. Oltre a questi cinque canali digitali, ne sta per arrivare un sesto.
Prima – Di che cosa si tratta?
R. Sergio – A breve lanceremo uno spin off di Radio2 dedicato ai giovani tra i 15 e 30 anni disponibile su tutte le piattaforme digitali. E non è l’unica novità in arrivo.
Prima – Cos’altro bolle in pentola?
R. Sergio – Stiamo pensando a un canale dedicato esclusivamente allo sport. Abbiamo un’infinità di diritti acquisiti che non trovano spazio nella programmazione tradizionale di Radio1 e, poiché c’è sempre più richiesta di sport, daremo vita a una radio sportiva simile a quello che in televisione sono Rai Sport 1 e Rai Sport 2.
Prima – Una radio sportiva è stata il sogno di tanti editori.
R Sergio – Noi certamente ci arriveremo. Terminata la fase di lancio del sesto canale verticale, quello dedicato ai giovani, abbiamo previsto una serie di investimenti per ampliare ancora di più l’offerta editoriale digitale. Oltre al canale sportivo di Radio1, arriveranno tematici targati Radio3 dedicati a diversi generi musicali.
Prima – Perché tanti canali verticali?
R Sergio – In un mercato in continua evoluzione è necessario se si vuole essere competitivi. Stiamo investendo parecchio su questo terreno per competere con gli altri editori. La radiofonia pubblica si è rimessa in moto, come peraltro tutta la Rai: è una realtà dinamica, veloce, aperta alle novità.
Prima – Il digitale serve anche per ampliare il pubblico. Arriva dappertutto, anche dove non c’è il segnale in Fm.
R. Sergio – I nostri tre canali hanno coperture analoghe e in queste settimane la Rai ha stanziato importanti investimenti per l’ampliamento delle frequenze e del segnale digitale nello standard Dab+. Dopo un lungo periodo in cui non si è ritenuto di fare nuovi investimenti sulla radio, il consiglio di amministrazione ha cambiato rotta. Operare sulle frequenze significa anzitutto individuare le aree con problemi di minore copertura o di maggiore interferenza e risolverli, tenendo presente la complessità burocratica che impatta su un’azienda come la nostra. Dobbiamo accollarci una serie di cautele che rappresentano un vincolo giusto ma pesante e che ci pongono in una situazione di svantaggio competitivo nel far west delle frequenze in cui ci troviamo. In termini di interferenze e di volumi di ascolto siamo penalizzati.
Prima – I privati si fanno pochi scrupoli. Rtl 102.5 ha acquistato la concessione nazionale di una radio comunitaria su cui trasmette un’emittente, Radio Freccia, che ha chiari tratti commerciali. Mediaset, vincolata nel numero di concessioni nazionali, si è assicurata una stazione come Subasio che di locale ha ben poco.
R. Sergio – Esistono enti regolatori che devono controllare e intervenire laddove ci fossero situazioni non coerenti con la normativa vigente, mentre noi ci adeguiamo sempre e comunque. Anche quando nacquero le televisioni private c’è stato un far west in cui inizialmente tutti cercavano di occupare gli spazi esistenti, poi è arrivata una regolamentazione che ha assestato il mercato. Con la radio prima o poi dovremo arrivare a una situazione simile, nonostante il panorama attuale sia complicato dalla presenza di una miriade di stazioni locali e super specializzate attivissime come Radio Maria. In televisione le realtà più piccole si sono progressivamente spente o si sono legate ai grandi multiplex nazionali. L’attuale complessità della radiofonia italiana va sciolta con l’intervento di chi governa i processi e detta le regole.
Prima – Con le trasmissioni digitali il far west dovrebbe scomparire.
R. Sergio – Noi ci crediamo molto. Rai Wav e la struttura tecnologica Rai stanno portando il segnale Dab+ dal 40% al 70% di copertura entro il 2018. In pratica avremo una copertura autostradale che va da Torino a Trieste a Salerno, fino alle città collegate. Una copertura pari al 60% della popolazione. Quasi in parallelo partirà un piano dedicato alla dorsale adriatica e alle isole.
Prima – Tanta dinamicità sul fronte tecnologico e editoriale si scontra con il calo degli ascolti di Radio Rai.
R. Sergio – Non mi risulta ci siano dati di ascolto
Prima – Dell’intricata situazione di Ter, la nuova società che avrebbe già dovuto rilasciare i nuovi dati sull’audience, parliamone tra un momento. Mi riferivo al trend che da anni vede i vostri ascolti in contrazione.
R. Sergio – Gli ascolti non si sono asciugati, si sono distribuiti. Se c’è minore ascolto sui tre canali principali, è perché viene in parte recuperato da un’offerta più ampia. Accade la stessa cosa in televisione, che vede comunque le nostre reti sempre leader nei diversi canali e piattaforme su cui sono distribuite. È difficile valutare questo fenomeno in numeri assoluti, più facile invece è comprendere il valore del prodotto e la qualità percepita. Va anche detto che è complicato lavorare se non hai a disposizione uno strumento che ti consenta di misurare ogni giorno il risultato di quello che mandi in onda. Finora siamo stati costretti a usarne uno, RadioMonitor, che si basa su interrogazioni che nell’arco di tre o sei mesi offrono una suggestione legata al ricordo. In queste condizioni dobbiamo lavorare sulla qualità cercando di capire se l’offerta messa in campo è gradita, e quanto, e cosa si aspetta la gente.
Prima – Sta dicendo che per i grandi editori sono necessari dati di ascolto più frequenti?
R. Sergio – Assolutamente si. Devono essere almeno mensili. E comunque sarebbe utile trovare una soluzione per avere quelli della tecnologia meter, che offre un feedback immediato o quasi. Ma qui tocchiamo un tema tecnologico su cui si dibatte da anni,
Prima – Non sembra soddisfatto dal lavoro fatto da Ter. Il tavolo editori radio è stato messo in piedi un anno fa proprio per dare vita a una rilevazione indipendente e alternativa a RadioMonitor di Gfk (subentrata dal fallimento di Audiradio). La nuova società aveva promesso di rilasciare i primi risultati a settembre, poi ha annunciato uno slittamento a novembre. Cosa sta succedendo?
R. Sergio – Sono entrato in Ter da pochissimo, a settembre, quindi non mi sento di dare giudizi sul suo operato. Ho capito però che si tratta di un tavolo di mediazione e come tale difficilmente raggiunge la migliore delle soluzioni per tutti. In queste situazioni poi, di norma, sono i più grandi che cedono qualcosa alle esigenze dei più piccoli. Detto questo, c’è una problematica che mi sento di dover segnalare in Ter, l’assenza di Upa.
Prima – Ma Ter è nata proprio dall’esigenza degli editori radiofonici, o almeno di alcuni, cappeggiati da Lorenzo Suraci di Rtl 102.5, di superare il ‘modello Audi’ affrancandosi dalla presenza dei rappresentanti degli investitori pubblicitari. Mentre mi sembra di capire che Rai e Mediaset abbiano posizioni diverse.
R. Sergio – Nella mia lunga esperienza professionale sono stato prima investitore, poi concessionario, ora editore. E per tutti questi ruoli sostengo che non può esistere uno strumento che deve attestare la credibilità di un settore verso gli investitori senza che questi ne facciano parte e siano garantiti dallo stesso sistema. La soluzione scelta finora da Ter è possibile, ma esclude il mercato, e questo sta creando una serie di tensioni.
Prima – Qual è esattamente la posizione della Rai?
R Sergio – Vorrei che si aprisse un tavolo di confronto con Upa. Non dico che debba saltare Ter, non dico che Ter non debba proseguire e cercare di realizzare al meglio quello che ha messo in campo, perché ne va della credibilità di tutti gli editori, compresa la Rai, Ma certamente va aperto un tavolo di confronto con Upa, perché è necessario che alla fine una accordo con loro lo si trovi. Non può esistere una struttura che deve certificare numeri che servono agli investitori che abbia gli investitori contro.
Prima – Intanto il comparto senza dati di ascolto procede a fari spenti.
R. Sergio – In Ter abbiamo fatto il punto sui ritardi dovuto alle difficoltà di incrocio tra dati Ipsos e Gfk. Per cercare di sistemare le cose abbiamo coinvolto Doxa e Reply, ma la situazione non è migliorata molto. Adesso la palla è passata nelle mani del professore di statistica Giorgio Marbach, che dovrà verificare se tutto quello che si è fatto per omogeneizzare i dati raccolti dai due istituti è corretto e coerente. Spero che le cose si sistemino, perché se ogni volta in Ter deve emergere la necessità di un ulteriore elemento di verifica è indubbio che esiste un problema.
Prima – Che cosa non quadra?
R Sergio – I numeri non danno cento, quindi alla fine qualcuno deve per forza perdere qualcosa. Ma così non può funzionare. L’unica cosa di cui dobbiamo avere certezza è proprio il numero. Tutto il resto non conta. Capisco bene la logica che guida Rtl o Mediaset, che stanno facendo grandi investimenti da cui si aspettano introiti pubblicitari importanti. Se però i risultati che emergono non sono coerenti e non c’è un modello che dia certezze, questo mette in difficoltà tutti e il tavolo rischia di saltare. Non è questa la situazione attuale, ma occorre trovare una soluzione.
Prima – In assenza di dati di ascolto i palinsesti vengono realizzati basandosi sull’intuito e sulla sensibilità di editori e direttori. Radio Rai dall’estate 2016 si è affidata al direttore artistico Carlo Conti, accolto con diffidenza e qualche polemica.
R. Sergio – Conti collabora con me e in particolare sulla parte musicale ha dato un contributo straordinario. Le sue indicazioni sono sempre di grande stimolo e creatività.
Prima – Un lavoro che Conti svolge senza una struttura dedicata, senza incarichi operativi, o responsabilità dirette.
R. Sergio – È un consulente che offre suggerimenti che qualche direttore recepisce di più qualcun altro meno. Come direttore di Radio Rai lavoro a stretto contatto con lui e posso dire che sta dando un importante contributo, che spero continui.
Prima – Immagino che la più recettiva sia Radio2, dedicata a musica e intrattenimento. Il brand del canale diretto da Paola Marchesini sembra però patire un po’ l’ombra dei suoi programmi più forti: ‘610’, ‘Il ruggito del coniglio’, ‘Radio2 Social Club’, ‘Caterpillar’.
R. Sergio – Stiamo lavorando proprio per rafforzare il marchio di Radio2 con la campagna di spot ‘We are family’, di cui è appena partita la seconda tranche televisiva. Parallelamente abbiamo allineato il sound design di tutti i canali in modo da rendere uniforme e riconoscibile la percezione sonora di Radio Rai. Sentiamo l’esigenza di spingere sul senso di appartenenza.
Prima – Senso di appartenenza che non manca certo a Radio3. Guidata da anni da un direttore inossidabile come Marino Sinibaldi e con un pubblico fedelissimo.
R Sergio – Sinibaldi è stato capace di realizzare un canale di grande valore che ha nella fedeltà degli ascoltatori il suo punto di forza. Per Radio3 proco importa chi e come rileva i dati di ascolto, perché ha un pubblico super fidelizzato che non la lascerà mai. Questa appartenenza è una forza straordinaria anche sul fronte commerciale: gli investitori sanno bene qual è il suo target e quanto è prezioso.
Prima – A proposito, come va la raccolta pubblicitaria di Radio Rai?
R. Sergio – Quest’anno, come entrate pubblicitarie, siamo nettamente al di sopra del mercato. In particolare Radio2 va molto bene sulla spinta degli eventi sul territorio.
Prima – La radio ha sempre puntato sulla presenza fisica, su sponsorizzazioni e media partnership con gli eventi.
R. Sergio – La radio deve stare vicino alla gente, in mezzo alla gente. Io ci credo tantissimo.
Roberto Borghi, Prima Comunicazione