L’autunno caldo di Claudio Bisio. “Sogno un ruolo alla Arbore”

L’autunno caldo di Claudio Bisio. “Sogno un ruolo alla Arbore”

In tv con Matano, con la voce a teatro, al cinema con “Gli sdraiati”

«Il mio sogno in tv? Non l’one man show, ma fare il regista di una squadra. Vestire la maglia del numero 10. Una volta si chiamava capocomico. In televisione lo ha sempre fatto Arbore». The Comedians. La serie, su TV 8 dal 15 novembre non è lo show tutto suo che Claudio Bisio sogna. Questa volta si trova costretto alla coabitazione con il più giovane Frank Matano.

Nessuna ambizione repressa, quindi?  

«Non devo dimostrare più niente a nessuno, oggi. Mi sento più tranquillo e libero di quando ero giovane. Nella serie ci stava che quello serio con qualche preoccupazione di ruolo fossi io; e il più sicuro, estroverso e impulsivo Frank. Ma nella realtà quello che faccio e come lo faccio mi appaga».

La serie gioca anche sulla vostra differenza di età.  

«Mi piace dire, scherzosamente, che malgrado i trenta e passa anni di differenza sono io il più giovane. Abbiamo molto in comune Frank e io: entrambi curiosi e puntigliosi, lui Vergine, io Pesci con ascendente Vergine; ma anche casinisti».

Il primo incontro?  

«A un festival, presentati da Maurizio Totti. Che poi ci avrebbe prodotti insieme nel film Ma che bella sorpresa!. Ricordo che mi fece un po’ impressione scoprire che i suoi genitori, seppure di poco, erano più giovani di me; e che lui aveva solo tre anni più di mia figlia. Ecco: sento Frank un po’ come un figlio. Direi che eravamo destinati a incontrarci».

A proposito di colleghi e amici. Che ci dice di Marco Della Noce, il comico di Zelig che dopo un divorzio gravoso si è ridotto a vivere in auto?  

«Dico che stiamo organizzando una serata a fine novembre allo Zelig di Milano con lui e tutti noi sul palco. Ora è tornato a casa. È importante che stia meglio perché solo così puoi ritrovare la voglia di far ridere. Chi vuole intanto può fare donazioni, ma tramite lo Zelig perché lui continua ad avere i conti bloccati».

E sempre per associazione di idee: figli. Sono l’argomento de «Gli sdraiati», il film diretto da Francesca Archibugi che esce il 23 novembre. Lei aveva già interpretato quel titolo, tratto dal libro di Michele Serra.  

«Ma quel testo era più fedele al libro: il monologo di un genitore che si interroga sul futuro del figlio adolescente. Padri e figli sono sempre centrali, ma ovviamente qui ci sono anche altri personaggi, una storia. C’è la mia generazione e quella attuale. Un padre postsessantottino, come sono io e come è Serra, antiautoritario e anti impositivo, non può passare dall’altra parte della barricata, quella dei genitori che a suo tempo ha contestato. Che vorrebbe essere amico del figlio. Ma anche gli psicologi dicono che non va bene, che è un errore. E comunque: che tu sia amicale o autoritario, il conflitto tra generazioni è inevitabile. Che tu voglia importi, che tu cerchi di ragionarci, loro non ti ascoltano».

Si sente che è un tema che le sta molto a cuore.  

«Ho due figli, di 23 e 19 anni. Il mestiere del genitore è fatto di tentativi ed errori. Puoi solo sperare che ti vada bene. Io in effetti sono ottimista, vedo come stanno crescendo i miei ragazzi. C’è una cosa che unisce spettacolo e film, ed è una passeggiata in montagna che padre e figlio riescono finalmente a fare insieme: metafora della vita e viaggio iniziatico, pieno di positività».

In questi giorni è a teatro (a Milano fino al 5 novembre, poi a Firenze dal 7 all’11): fa il Narratore in «Rocky Horror Show». Che ricordi la legano a questo spettacolo?  

«La Civica scuola d’arte drammatica del Piccolo e un viaggio che feci da studente squattrinato a Londra nell’estate del 1979. Mi presentai al teatrino di King’s Road, dove Rocky Horror andava in scena con il tesserino da studente, spacciandomi per “collega” per entrare gratis. Ne uscii entusiasta. Tornato a Milano, a scuola chiesi che lo si portasse come saggio. Più avanti, animai le serate del venerdì, quando il cinema Mexico proiettava il film ogni settimana: il mio primo lavoro retribuito. Lì, tra il pubblico, incontrai Gabriele Salvatores: l’inizio di un lungo sodalizio. Rocky Horror porta fortuna».

Adriana Marmiroli, La Stampa

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