Genitori e figli al debutto del vincitore di Sanremo.
È una fase nuova della musica
Bastava un’occhiata alla platea di Francesco Gabbani, l’altra sera nel bellissimo Teatro Romano di Verona, per capire un’altra volta la nuova regola del pop.
C’erano ragazzi, genitori, figli piccoli e talvolta nonni (come anche sabato scorso a Eataly di Milano) ad applaudire l’eroe di Sanremo nel debutto ufficiale del suo tour. Ed erano tutti nel posto giusto al momento giusto. Ormai non solo nelle classifiche di vendita ma anche in quelle dei concerti vince la trasversalità generazionale. Una volta ad attirare era spesso la settorialità: artisti con un codice comunicativo unitario ed unificante che riuscivano a creare o a partecipare a linguaggi comuni per sottogruppi anagrafici. Una formula complicata per dire che ai concerti per ragazzini andavano i ragazzini, a quelli di heavy metal andavano i metallari e via dicendo.
Oggi non è più così.
Per decenni ha funzionato il «crossover» di stili all’interno dello stesso repertorio per attirare pubblici diversi. Adesso funziona il crossover anagrafico. E l’altra sera, con le sue oltre venti canzoni, Francesco Gabbani ha confermato che le popstar transgenerazionali vivono e lottano insieme a noi. «Continuo a essere quello che ero ma sono sorpreso da questo successo», ha detto prima di salire in scena. In fondo, il suo è un concerto che non ha nulla da invidiare a quelli di cantautori già consolidati. Un repertorio convincente e ormai conosciuto anche grazie alle due vittorie consecutive al Festival e al nuovo singolo Tra le granite e le granate. Una band tosta con un batterista autorevole e molto potente (suo fratello Filippo). E infine una voce precisissima nelle battute e negli ingressi, oltretutto alle prese con testi come La mia versione dei ricordi o Software che non sono solo a uso e consumo del ritornello ma hanno una bella costruzione e una ricerca testuale non improvvisata.
Però, a decretare il successo di un Gabbani che ricorda il Jean Dujardin di The artist, è stato anche l’elemento «visual», ossia la scimmia sanremese: «Ma non ci sarà più, ha ormai terminato la propria funzione». Era (anche) quella di scatenare l’interesse dei bambini che infatti l’altra sera ballavano e ridevano durante Occidentali’s Karma. Insomma, la canzone pop non è più, come talvolta capitava, la mescolanza di «alto» e «basso» ma di elementi «visual», tendenzialmente comprensibili anche ai giovanissimi, con testi e musiche che invece sono indirizzate a un pubblico più adulto. Un po’ come è accaduto a Rovazzi, l’autore del primo tormentone (Andiamo a comandare) letteralmente imposto dai figli ai genitori grazie alla potenza di social e web, è ormai tempo di pop condiviso. A livelli diversi.
Anche fenomeni come Ariana Grande, ai cui recentissimi concerti di Roma e Torino hanno partecipato giocoforza migliaia di genitori reclutati da figli spesso under 14 o addirittura under 10, sono molto diversi dai «teen idol» di pochi anni fa, in genere performer drammaticamente inadeguati con repertori elementari. In realtà agli show di Ariana Grande c’è un’offerta musicale di livello, con musicisti di talento e brani che lasciano soddisfatto anche un pubblico più maturo.
E poi è sotto gli occhi di tutti il caso di Harry Styles che, dopo gli One Direction, prova a traghettare il pubblico ultra adolescenziale che lo adora verso un pop più ricercato con velleità di sopravvivere al volatile sciame dell’usa e getta. Non a caso, in Italia il suo singolo Sign of the times è stato mediamente più trasmesso dai network radiofonici rispetto ai brani della sua band, a riprova di un tentativo di percorso simile a quello del Robbie Williams dopo i Take That. In generale, è una tendenza che, anche grazie alla sempre più invasiva presenza «visual», promette di consolidarsi nel medio termine, segnando un reale cambiamento degli equilibri musicali.
Perciò l’altra sera, forse per la prima volta in tanto tempo, nella platea di un vincitore del Festival c’erano ragazzini e bambini che magari non guardano neanche la tv ma sono stati colpiti dalla miscela ingegnosa e sincera di Gabbani. Poi lui, certo, ci mette del suo, un po’ istrione, un po’ cantastorie, assai dinoccolato e soprattutto (evviva!) assai positivo in un periodo invece cupo e ansiogeno. Non sarà una meteora su questa nuova rotta da Magellano (il titolo del suo disco), perché alle spalle ha gavetta e porte sbattute. Però il suo successo è un segno dei tempi (toh, sign of the times) che si è aperta un’altra epoca del pop. Quella formato famiglia.
Paolo Giordano, il Giornale