Esce il 16 giugno “Feed The Machine”, il nuovo album del gruppo canadese. Tgcom24 li ha incontrati
Suoni duri per testi che affrontano le distorsioni del nostro tempo ma che possono altresì essere validi universalmente. E’ questo “Feed The Machine“, nono album in studio dei Nickelback, in uscita il 16 giugno. La band canadese sarà poi impegnata in un mega tour in Nord America. “Non ci vogliamo prendere troppo sul serio – dicono a Tgcom24 -. Ma non possiamo ignorare i problemi che riguardano la maggioranza delle persone”.
Anello di congiunzione tra il rock duro e quello più melodico (tanto da avere da sempre un rapporto a dir poco conflittuale con la critica), i NIckelback sono ormai un’istituzione, uno di quei punti fermi del panorama musicale, capaci, anche se il tempo dei grandi successi è ormai di qualche anno fa, di avere una fan base così solida da riempire arene e palazzetti come nulla fosse a ogni tour. E i numeri sono tutti dalla parte del gruppo di Chad Kroeger: nove nomination ai Grammy Award, tre American Music Awards, un World Music Award, un People’s Choice Award, ben dodici Juno Awards. Con più di 23 singoli in vetta alle classifiche e una nutrita schiera di appassionati sparsi per il globo, i Nickelback vantano dodici consecutivi tour internazionali sold-out.
E anche se il loro più grande successo è una ballad romantica come “How You Remind Me“, i Nickelback non si tirano indietro quando si tratta di parlare di politica. “Feed The Machine”, brano che dà il titolo all’album, non usa tanti giri di parole, quando descrive “un altro ciarlatano da idolatrare”. Il chitarrista Ryan Peake però vuole sgombrare il campo da equivoci: non ci sono riferimenti diretti a questo o quel politico. “E’ una canzone politica, religiosa, che riguarda chiunque provi a manipolare la testa della gente – spiega seduto accanto a Mike Kroeger all’ultimo piano di un lussuoso albergo di Amsterdam, dove il gruppo ha incontrato la stampa dopo uno showcase di lancio del disco -. Volevamo coprire tutti questi argomenti. Io credo sia un pericolo enorme ma che è presente da molto tempo. Questa canzone è stata scritta un anno e mezzo fa, ancora non si poteva pensare a certi personaggi venuti poi alla ribalta. Puoi associare questo testo a un sacco di cose e calarlo in molti periodi diversi”.
Se qualcuno avesse voluto fare collegamenti con l’elezione di Donadl Trump, dunque, è servito. Ma le elezioni americane in qualche modo c’entrano comunque. “Quando stavamo scrivendo questa canzone eravamo alle prime battute delle primarie – spiega Mike Kroeger -. Una elezione presidenziale contiene sempre un lato poco edificante, ma le primarie sono il peggio del peggio. Ci sono tutti questi individui che dicono il peggio dei loro avversari, spesso giocando sporco, infamando sul piano personale. Ma sono dello stesso partito e chiunque poi vinca, molto probabilmente si porterà dietro qualcuno di quelli con cui si è coperto di merda per mesi. Quindi quando abbiamo scritto quel brano il teatro della politica era davvero un’ispirazione fantastica”.
Il panorama musicale odierno è dominato dal pop, spesso nelle forme più leggere. Proprio oggi che la nostra società attraversa una profonda crisi sembra scomparsa la voglia di impegno che ha caratterizzato la musica negli anni 60 e 70, in particolare il rock. “Negli anni 60 e 70 la musica era una forma di protesta, portava avanti istanze sociali e politiche che erano in alcuni settori della società. Oggi sembra che nessuno sia interessato a raccontare i problemi degli altri – dice il bassista della band -. Tu hai detto che viviamo in tempi difficili. Non sono d’accordo. I tempi sono sempre difficili, dipende in quale parte del mondo hai avuto la fortuna di nascere e vivere. La gente che vive in alcune zone dell’Africa o del Medio Oriente vivono tempi duri da anni, e adesso questa cosa sta arrivando nel nostro mondo. Dobbiamo farcene una ragione. Credo semplicemente che noi stiamo toccando con mano una minima percentuale dei problemi che zone del mondo hanno affrontato per decenni”.
“Credo a livello primario che la musica pop oggi sia incentrata su una questione ritmica e melodica, Vuole fungere da mezzo per fuggire dalle brutte notizie, che da quando sono scoppiati i social ci investono continuamente ogni giorno – aggiunge Peake -. Noi facciamo musica rock. Questo non vuol dire che ci prendiamo troppo sul serio. Ma potrei scrivere del fatto che passo i miei sabato sera a bere drink oppure occuparmi di problemi che riguardano la maggior parte della gente, come abbiamo fatto in “Silent Majority”. La maggior parte del tempo ci arriva il rumore che fa una minoranza che si fa sentire, spesso senza dire nulla, ma c’è una maggioranza che lotta per sopravvivere”.
I Nickelback hanno girato da qualche tempo la boa dei vent’anni di carriera. Il momento di maggior successo per loro è stato quello a inizio del nuovo millennio, quando ancora sulla scia della rivoluzione grunge, il rock e l’alternative erano tra i generi dominanti anche nelle radio. Ora è tutto cambiato, tra mode musicali e nuove tecnologie, come lo streaming. Come pensano di puntare a un nuovo pubblico oggi? “In realtà il nostro obiettivo più che fare canzoni per trovare nuovi fan dovrebbe essere quello di fare una musica che ci permetta di tenere quelli che abbiamo” afferma ridendo Mike. “Le nuove tecnologie sono un’arma a doppio taglio – prosegue Ryan -. E’ vero che con i servizi streaming l’offerta è così ampia che spesso arrivare a nuovi ascoltatori è come vincere un biglietto della lotteria. D’altra parte se hai la fortuna che una tua canzone raggiunga qualcuno di questi, beh, in quel momento hanno la possibilità di recuperare tutta la tua discografia in un secondo, mentre una volta sarebbero dovuti andare in negozio e spendere una fortuna. Quindi c’è una sorta di equilibrio. Tu puoi sempre riscoprire qualcosa, è come se il tempo si fosse annullato, hai tutta la storia della musica a portata di mano”.
“Quando hai accesso praticamente a tutto, è quasi impossibile concentrarsi su qualcosa – sottolinea Kroeger -. Di fatto questo incide sulla qualità delle canzoni. La spinta di una radio che ti passa un brano dieci volte al giorno ormai è relativa. Spesso un pezzo ha una possibilità in streaming, e la canzone per colpire quindi deve essere o dannatamente semplice o dannatamente buona. Le canzoni più forti sono quelle che rimangono. Una forma di selezione naturale”.
Per questo siamo tornati indietro a quando si facevano solo singoli? “Sì, sono di nuovo gli anni 50. Alcuni gruppi hanno tre canzoni ma l’etichetta preme per averne dodici e fare un album – spiega Peake -. Il risultato è un disco con alcuni brani buoni e una manciata di filler, il ché indebolisce il tutto. Invece noi pensiamo che non ci sia nulla di male a concentrare tutto su due o tre pezzi buoni e andare in tour con quelli”.
TGCOM24