«Ciascuno di noi a un certa età diventa come il proprio padreI miei inizi? Vivevo in una casetta e mangiavo pane e patate»
CANNES Viene presentato come «l’attore con cui tutti noi siamo cresciuti». E allora Dustin Hoffman (80 anni in agosto portati divinamente, due Oscar) reagisce con ironia e un pizzico di disappunto: «C’è qualcuno più vecchio di me in sala? Si può alzare in piedi? Perché io avrei perfettamente potuto interpretare il ruolo dei miei figli. Non volevo fare quell’uomo anziano, ma alla fine mi ha convinto mio figlio Jake». In The Meyerowitz Stories (New And Selected) di Noah Baumbach, l’attore è uno scultore egocentrico, un po’ collerico, ingombrante e con le fissazioni dell’età, ha una certa fama ma pensa di non avere avuto il successo che meritava. Dustin Hoffman, che tipo di film è? «È una commedia agrodolce che affronta col sorriso e in profondità il confronto generazionale in una stravagante famiglia di New York. Io interpreto un artista singolare, il patriarca. Mi sono fatto crescere la barba lunga. I rapporti con i genitori sono sempre controversi, tutti, a un certo punto della vita, diventiamo come nostro padre».
Nella storia raccontata da Baumbach, Hoffman ha avuto quattro mogli (tra le quali Candice Bergen ed Emma Thompson, irresistibile hippy) e tre figli: Elizabeth Marvel e i coprotagonisti Ben Stiller (realizzato uomo d’affari) e Adam Sandler (un mezzo artista senza arte né parte). Secondo film della Netflix in gara a Cannes, il colosso online contro cui il presidente della giuria Pedro Almodóvar ha lanciato l’anatema: «Non premierò film che non escono nelle sale». Appena parte la proiezione del film, il logo di Netflix viene accolto da buuh, risate e applausi: una polemica gonfia di interessi economici è ormai spenta nella cenere della goliardia. Il regista: «Ho girato pensando che si sarebbe visto sul grande schermo, Netflix è entrata in postproduzione, mi ha aiutato e lo apprezzo»; l’attore se la cava con una battuta: «A casa mia ho un grande schermo».
Si avvicina a un compleanno importante.
«Siamo ai rimpianti? Beh, Fellini mi propose La città delle donne, gli dissi che l’avrei fatto gratis ma senza il doppiaggio. Mi rispose che non era il suo metodo di lavoro. E la cosa finì lì. Lo rincontrai a una cena a Roma, si lamentava delle multisala, mi disse che non aveva troppa voglia di continuare a lavorare. Secondo me avrebbe continuato fino alla fine».
Ci sono stati altri no?
«Rinunciare a Bergman, ma mia moglie era in attesa e lasciare New York era l’ultimo dei suoi pensieri. Incontri ravvicinati del terzo tipo di Spielberg: erano tempi in cui non volevo allontanarmi troppo da un film come Il Laureato».
Insieme con «Kramer contro Kramer», è il suo film su dinamiche familiari che restano nel cuore.
«Il Laureato lo accettai per smettere di fare il cameriere, non per la bellezza di Katharine Ross. Che però era molto attraente. Quel film ha a che fare con Edipo, l’uomo che cerca di staccarsi dal petto della madre, e la signora Robinson è la migliore amica della madre di Benjamin, il giovane bene educato che vorrebbe stare solo con se stesso e non sa che pesci prendere sul proprio futuro».
Invece lei da ragazzo cosa sognava di fare?
«Il pianista jazz. La musica credo abbia dato un senso al mio lavoro, i tempi, i ritmi, l’armonia… Per esempio il film di Baumbach è ben scritto e ha una sua musicalità, sono esperto nel capire se una sceneggiatura funziona, qui ci sono tenerezza e risentimento, c’è il vissuto di una vita. Quanto ai miei sogni, ero iscritto all’Actor’s Studio e per mantenermi agli studi ho fatto mille lavori. Mio padre era attrezzista a Hollywood. I miei inizi? Vivevo in una casa minuscola con Gene Hackman, dormivo in cucina, mangiavamo pane e patate, facevamo teatro nelle cantine, e un provino dopo l’altro».
Lei ha lavorato con diverse attrici italiane.
«Vediamo… Elsa Martinelli, per cui mi presi una cotta terribile, era gentile ma non interessata a me. Poi Valeria Golino (Rain Man), pura energia. E naturalmente Stefania Sandrelli. Al tempo di Alfredo Alfredo era incinta, una straordinaria combinazione di innocenza e sensualità».
Il Corriere della Sera