Padre e figlio in un docufilm martedì su Rai 2 Insieme in Lapponia per mettere alla prova (e portare in tv) il loro rapporto
A 15-16 anni, «quando tuo padre lo detesti per forza», Francesco Facchinetti «per sembrare l’esatto contrario del figlio di un Pooh» girava con la cresta da punk, e ai cancelli degli stadi dove suo padre si esibiva ci andava per scoraggiare la gente a entrare: «Gli dicevo: ancora con ‘sta Piccola Katy? Con ‘sto Pensiero? Una volta, con Daniele figlio di Dodi Battaglia, abbiamo pure spento il generatore in pieno concerto, ancora me lo rinfaccia».
A 20 sotto zero
Ma adesso che di anni ne ha 37, Francesco con suo padre ci è andato in Lapponia, «a vedere l’aurora boreale, per la prima vacanza che abbiamo mai fatto insieme noi due da soli». Soli sì, ma con troupe al seguito: il frutto è 50 modi per far fuori papà, un docu-reality in onda su Rai 2 martedì alle 21.20, calco del format internazionale 50 Ways To Kill Your Mammy e possibile testa di ponte per un’intera serie sulla numerosa famiglia Facchinetti.
A Roby, 73 insospettabili anni il 1° maggio, ne succedono di tutti i colori: viene trainato dai cani da slitta, mandato a pescare a 20 sotto zero, messo a ghiacciare sotto una tenda: «Il momento più allarmante – racconta – è stato l’incontro con la renna infuriata che doveva trascinarmi sugli sci». E il girocottero? Che cosa ha provato quando il pilota ha spento il motore ed è sceso in caduta libera? «Ho pensato che fosse un ben strano modo di morire, ma visto che, prima o poi, capita a tutti… È venuto fuori il mio coraggio nascosto, perché ho paura come tutti, ma sono un incosciente. Alla fine, la voglia di rischiare e l’adrenalina hanno sempre il sopravvento. Anche perché mi ritengo un ragazzo molto fortunato».
Difatti è tornato a casa tutto intero, e pure più connesso emotivamente con suo figlio, che invece si autodefinisce «pauroso per natura», e che nel programma non fa assolutamente niente di rischioso.
«Non che avessimo litigi da ricomporre – dicono all’unisono – ma certo c’era un po’ di confidenza da ricostruire». Il momento magico pare si sia verificato in una stanza d’albergo, al buio, con l’aurora boreale risplendente dietro le pareti di vetro: «Ci siamo detti “Ti voglio bene” e che uno è orgoglioso dell’altro», racconta Francesco. Ancora Roby: «Ci somigliamo molto, siamo tutti e due del Toro, testardi, andiamo fino in fondo anche quando sarebbe più ragionevole mollare. Lui però è capace di fare tante cose insieme, è multitasking come quelli della sua generazione».
Francesco: «È vero, papà mentre crescevo c’era poco, avevo bisogno di parlargli e lui era sempre in riunione con i Pooh. Che cosa cavolo dovessero decidere non lo so, facevano più riunioni loro del presidente degli Stati Uniti. Poi, crescendo, ho capito. Se sei un artista devi dedicarti a quello, 24 ore su 24. Ancora peggio se sei un Pooh, un monumento». E lei con i suoi, di figli? «Sono avvantaggiato, il mestiere che faccio, a metà fra spettacolo e management, mi dà più respiro e mi permette di portarli con me. È il bello di essere imprenditore di se stesso».
La musica ragione di vita
Roby, ha rimpianti? «È andata così, ma spero di aver modo di recuperare, visto che ho più tempo a disposizione». Ora che i Pooh si sono sciolti, anche se si fa fatica a crederlo. Possiamo evocare la parolaccia che comincia con la P? «Gli hobby da pensionato non fanno per me, Musica continuerò a farne finché campo, ho provato ad attaccare al muro un quadro e ho combinato un tale casino da dover chiamare un muratore. Questo, almeno, l’ho capito». Conferma Francesco: «Non è cambiato nulla, per mio padre la musica è una ragione di vita, che suoni a San Siro o davanti a una persona sola è ciò che lo mantiene vivo. Sta già incidendo dischi, organizzando progetti», più una misteriosa sorpresa che, dice Roby, «ancora deve rimanere segreta». C’entrerà il-gruppo-che-mai-si-scioglierà-per-davvero, c’entrerà il «Dio delle città»?
Egle Santolini, La Stampa