THE WALKING DEAD 7: UN BUON FINALE NON BASTA

Finalmente, l’ultima puntata della settima stagione ha introdotto un po’ di azione e riunito tutti sul campo di battaglia. Ma questo non basta per riscattare la serie

The Walking Dead«Benvenuta nel primo giorno del resto della tua vita». Negan non lo sa, ma la frase che dice a Sasha e che apre il finale della settima stagione di The Walking Dead (trasmesso lunedì 3 aprile su Fox) è più profetica che mai. Lo scenario che il cattivo della serie ha immaginato per la sua prigioniera (usarla come merce di scambio con Rick) non si avvera: Sasha è la nuova e ultima vittima di questa stagione. Per sua volontà, con un ultimo sacrificio, prende la pillola che le ha dato Eugene e si trasforma in zombie, boicottando i piani del leader dei Salvatori.
L’uscita di Sasha era prevedibile, soprattutto per chi sa che Sonequa Martin-Green sarà la protagonista della nuova serie Star Trek: Discovery. Per quanto triste, questo è un addio meno difficile di altri. Perché è frutto di una sua scelta e, per una volta, i dettagli più cruenti e horror ci vengono risparmiati, anzi, la trasformazione è accompagnata dalle note rassicuranti di Someday We’ll All Be Free di Donny Hathaway.
Infine, si chiude un cerchio, come sottolineano i flashback dell’episodio: Sasha «raggiunge» Abraham, di cui si era innamorata poco prima che Negan gli scagliasse addosso la sua Lucille. È all’altra «vedova», Maggie (a cui è affidato il monologo finale) che viene lasciato l’incarico di portare avanti l’eredità della seconda vittima della premiere shock di quest’anno, Glenn.
Finalmente, l’ultima puntata ha introdotto un po’ di azione e riunito tutti sul campo di battaglia: da una parte Rick, Ezechiele e il gruppo di Hilltop, guidato da Maggie, dall’altra i Salvatori e Jadis (che tradisce l’accordo con quelli di Alexandria).
Ma non basta per riscattare il resto della stagione. Escluso il discusso primo episodio, la serie di Robert Kirkman è diventata lenta, dispersiva e faticosa da seguire (non a caso, gli ascolti ne hanno risentito). Perfino il Negan di Jeffrey Dean Morgan, un cattivo formidabile, è un po’ troppo preso dal suo personaggio e dai suoi preamboli autoreferenziali, che sembrano il perno di tutta la storia.
Le dinamiche sono ormai ripetitive e prevedibili: morti, tradimenti, momenti strappalacrime, violenza a gogò. È quasi una roulette russa: chi sarà la prossima vittima? La metafora che faceva dei sopravvissuti di The Walking Dead uno specchio della nostra società ha perso la sua originalità. Il fumetto andrà avanti, ma che sia ora di dire basta alla versione televisiva?

Margherita Corsi, Vanity Fair

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