Pittsburg Anni ’50. Troy è un netturbino dall’animo esacerbato – il colore della pelle e tredici anni di carcere gli hanno impedito di affermarsi nel baseball – che sfoga le sue frustrazioni sui familiari: la moglie amorosa e i figli, soprattutto ostacolando Corey cui le doti di giocatore di football hanno spianato la strada per il college. Nel dramma di August Wilson, multi-premiato drammaturgo afroamericano (1945-20O5), la scena è il cortile di un periferico villino; e il titolo simboleggia con doppia valenza la condizione dei neri nella società americana, protetti e al contempo prigionieri del loro ghetto esistenziale.
Avendo portato Fences trionfalmente in scena a Broadway nel 2010, Denzel Washington lo ha riproposto con altrettanto successo sullo schermo (4 candidature) nella prosciugata sceneggiatura di Tony Kushner, senza alterarne la struttura teatrale e ben evidenziando con grintoso gioco attoriale, in perfetta complicità con la potente Viola Davis, il senso ultimo del lavoro di Wilson: mostrare ai bianchi che tematiche come amore, tradimento, dovere e rimpianto non sono loro esclusivo retaggio.
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