La rivista aveva preso la storica decisione solo nel marzo 2016. Un anno dopo, Cooper Hefner annuncia: “Il modo in cui ritraevamo il nudo era datato. Ma il nudo non è mai stato il problema”. Nel prossimo numero torna la playmate, recuperate anche vecchie rubriche, ma eliminato il sottotitolo “entertainment for men”
“Eliminare totalmente il nudo dalle nostre copertine è stato un errore”. E’ l’ammissione con cui Cooper Hefner annuncia il ritorno della donna senza veli sulla cover di Playboy. Marcia indietro che giunge ad appena un anno dalla storica decisione – era il marzo 2016 – di rinunciare al carattere più distintivo della celebre rivista statunitense, motivata in un tweet del 25enne direttore creativo e figlio 25enne del fondatore Hugh Hefner: “Oggi ci riappropriamo della nostra identità e reclamiamo chi siamo”.
Playboy tornerà se stesso con il numero di marzo-aprile, già in promozione con l’immagine della playmate del mese associata a un hashtag che suona come l’urlo di battaglia di una nuova crociata: #NakedIsNormal. Recuperate anche storiche sezioni come “The Playboy Philosophy” e “Party Jokes”. Ma è più significativa la rinuncia a quel sottotitolo di copertina della rivista, tanto ma tanto retrò: “Entertainment for men”.
Lo stesso Cooper Hefner fa sapere che non sarà esattamente tutto come prima: “Sarò il primo ad ammettere che il modo in cui la rivista ritraeva la nudità era datato. Ma iI nudo non è mai stato il problema, perché il nudo non può essere un problema”. Naked is normal, la normalità del nudo, appunto. Sui social, il pubblico si divide tra chi saluta con entusiasmo il ritorno sulla vecchia rotta e chi invece non crede alla favola dell’identità: “La decisione è stata presa perché il magazine non vendeva più così bene. Troppo facile avere accesso a pornografia gratuita”. Quando poi, proprio l’inflazione del nudo e dei contenuti espliciti sul web era stata alla base della rinuncia al nudo di un anno fa. Perché Playboy, era la riflessione, non può annegare come Penthouse cercando di fare concorrenza alla pornografia. Playboy non è solo donnine, Playboy ha altro da offrire.
Playboy fu fondato da Hugh Hefner nel 1953. Lo scorso anno, la tiratura è stata di 700mila copie. Non male, si direbbe. Se non fosse che negli anni Settanta la rivista arrivò a vendere fino a 5,6 milioni di copie. A tenere in piedi la baracca ci ha pensato soprattutto la forza del brand. E di quel logo, il coniglietto stilizzato con il papillon, tra i più riconoscibili al mondo, tanto è vero che gran parte delle entrate sono arrivate dal “licensing” in tutto il mondo del suo simbolo per la vendita di cosmetici, bibite e gioielli.
In effetti, la vera sfida per Playboy consiste nel garantirsi lettori tra le nuove generazioni dell’era digitale. Il nudo, da solo, non può bastare, ma a Playboy devono essersi convinti che rinunciandovi diventa ancora più difficile portare i giovani sui contenuti di “spessore” del magazine. Come il saggio che apparirà sul prossimo numero, firmato dall’attrice britannica Scarlett Byrne, fidanzatina di Harry Potter sul grande schermo e dello stesso Cooper Hefner nella vita, dedicato alla campagna “Free the Nipple”, letteralmente “liberiamo i capezzoli”. Movimento nato negli Stati Uniti con l’obiettivo di allentare le maglie della legislazione in merito all’allattamento in pubblico e al topless in generale, denunciando la disparità di trattamento rispetto alle possibilità di esposizione del corpo maschile.
Tematica che si sposa perfettamente con il nuovo corso di Playboy. “Sarà sempre marchio di uno stile di vita focalizzato sugli interessi degli uomini – conclude ancora Cooper Hefner -, ma se i ruoli di genere continuano a evolversi nella società, dobbiamo farlo anche noi”.
Repubblica