“Sanremo tira fuori il sociologo che alberga in noi e le spiegazioni ex post fioriscono come i fiori della Riviera”. (Aldo Grasso, Corriere della Sera, 2015)
“Se vuoi capire il Paese c’è poco da fare, devi guardare Sanremo”. (Domenico De Masi, sociologo)
“Non ho mai visto niente di più anchilosato, rabberciato, futile, vanitoso, lercio e interessato”. (Ennio Flaiano parlando del Festival di Sanremo)
ATTUALIZZANDO… FESTIVAL 1/LO DETESTO
Il cosiddetto Festival della canzone (le canzoni a Sanremo ormai non contano più nulla) per anni e lustri e secoli – ma avremo la fortuna di non testimoniarlo – continuerà ad affiggerci, senza tregua. Sanremo è il simbolo di tutto ciò che detesto, nel nostro incredibile Paese. Perché butta tutto a coglionella, non trasmette mai un messaggio di verità, di umanità. Ad esempio: La Verità da molti giorni riferisce notizie di indagini su episodi di corruzione, in cui è coinvolto un signore onnipresente, uno scenografo, nei programmi di Carlo Conti. Non una parola, al Festival.
FESTIVAL 2/CHE MI DITE DEI COMPENSI?
Ancora: il conduttore è contestato, dovunque, per il suo alto stipendio. Reazioni? Scherzi, lazzi e frizzi. Maurizio Crozza lo sfotte e lo sguardo di Conti si vela per un attimo (la televisione ha almeno il merito di mostrare tutto), poi tutto si conclude con una celebrazione degli incassi, che consentirebbero questo e altro. Ma i conti, oltre a Conti, ce li fate vedere? E, comunque, l’indebitamento della Rai non è da brividi? Dov’è finita la trasparenza?
FESTIVAL 3/BRUTTO ODORE DI LARGHE INTESE
Ancor di più, non mi piace l’atmosfera da larghe intese, o inciucio,o ammucchiata politica che ha demolito l’Italia: il Festival ne è il simbolo. Rai e Mediaset dovrebbero essere antagoniste, questo è il merito storico e nobile che deve essere attribuito a Silvio Berlusconi, quando con Canale 5 creò un’alternativa all’indecente monopolio della presunta azienda di servizio pubblico.
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FESTIVAL 4/NE VALEVA LA PENA?
Ora invece, Conti e Maria De Filippi, a braccetto, tubano e forse anticipano il futuro governo dell’ennesimo mucchiaccio di partiti di diverso profilo: dov’è finita la concorrenza? Maria ha regalato un punticino scarso all’audience, rispetto al 2016. Nella seconda serata ne sono stati persi 3,4. Ne valeva la pena?
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FESTIVAL 5/UNA PROPOSTINA PER MIKI SERRA
Sapete bene che (ormai è un tormentone) “L’amaca”, la bizzarra rubrica celebrata da Repubblica in prima pagina addirittura sopra la testata, mi dà proprio fastidio. Siamo in tanti a criticarla e, presumo, che più la critichiamo più il giovane e ostinato direttore la confermerà negli alti cieli del suo giornale, una volta tanto ammirato. Ma eccoci al punto: uno dei motivi per cui Miki non mi sta bene è che (senza titolo, questa è una sua civetteria) si occupa sempre, come quasi tutti i critici, di argomenti passati e trapassati. Mai del caso del giorno. Perché, ad esempio, non scrive qualcosa sulle glorie, poche, e le sconcezze, numerose, del Festival? Se fosse appuntito come Flaiano, leggete qui sopra, sarebbe un punto a suo favore. O anche se avesse l’acume e l’humour del mio adorato Rino Gaetano: “Il festival resta una passerella e come tutte le passerelle ti offre tre minuti per fare un discorso che normalmente fai in uno spettacolo di due ore. Così devi trovare un sistema. Da parte mia, ho scelto la strada del paradosso un po’ alla Carmelo Bene”.
FESTIVAL 6/RISPONDO AD ALCUNE OBBIEZIONI
Qualcuno mi ha soavemente contestato: ma tu, mi hanno detto, non hai partecipato al Festival? Sì, tre volte come autore e molte altre volte in gioiosa trasferta per “Domenica In”, che nei giorni del Festival si spostava a Sanremo. Come autore del Festival, la mia gioia è stata di partecipare alla mitica impresa di Paolo Bonolis e Lucio Presta, ottenendo un record ancora imbattuto. All’epoca c’era ancora la possibilità di inventare qualcosa. Bonolis per due edizioni fu bravissimo, il primo a rinnovare la logora tradizione, la messa cantata di Pippo Baudo e Mike Bongiorno, e altri volenterosi imitatori: sconvolse la procedura abituale, la litania delle canzoni, introdusse elementi di intrattenimento, riuscì ad infiammare l’algido pubblico sanremese. Il mio terzo festival fu con Antonella Clerici: con gli altri autori avemmo la soddisfazione di portare al trionfo, per la prima volta, una conduttrice – in precedenza erano scivolate prime donne come Raffaella Carrà e Simona Ventura. Confesso anche che i compensi erano invitanti, anche se non sfioravano minimamente gli sperperi di oggi. A Domenica In e come opinionista c’erano piccoli fattori di divertimento, ho deciso – disgustato – di staccarmi dalla Rai finché sarà guidata da manager come Antonio Campo Dall’Orto, il peggio del peggio. Una raddrizzata potrebbero darla Bonolis e Presta, l’anno prossimo, e lo dico anche se sono certo che non mi chiameranno a far parte della combriccola: hanno la spina dorsale e l’autorità per staccarsi dalle banalità e dai compromessi (per non dire peggio) che hanno fatto irruzione negli ultimi anni.
FESTIVAL 7/IN DEFINITIVA PERCHÉ NON MI PIACE
Perché è anacronistico, e questo è un pericolo per tutti, ma c’è modo e modo di affrontare l’attualità. Raffaella fu condizionata, negli ascolti, da un’Italia turbata da un orrendo delitto in quei giorni: quella ragazzina, Erika, che uccise in modo orrendo la mamma e il fratellino, con il sostegno del fidanzato, Omar. Tuttavia, con Bonolis, riuscimmo a sostenere e ad assorbire i giorni dell’agonia di Papa Wojtyla e l’uccisione, per fuoco amico, di un militare italiano, Nicola Calipari.
Quest’anno è indecente che il Festival non abbia tenuto conto, per nessun aspetto, salve che per qualche banale intervento, dei tanti problemi italiani, e , in particolare, della tragedia del terremoto. Come minimo, si poteva avere la sensibilità di ridurre l’assurda rassegna festivaliera a tre giorni (un consiglio, questo, valido sempre per tutti). E destinare una parte degli incassi super celebrati – anche se non portati a conoscenza del pubblico – a sostegno delle famiglie vittime di un evento, prevedibile e ignorato dallo Stato.