CIAO, TENCO CIAO E SAI COSA C’È? SIAMO ANCORA INNAMORATI DI TE

CIAO, TENCO CIAO E SAI COSA C’È? SIAMO ANCORA INNAMORATI DI TE

Tormentato, ombroso, anticonformista: cinquant’anni fa il cantautore si suicidava a Sanremo. Che ora lo celebra

tenco-2Si incontrarono pochi giorni prima di quel tragico Festival Luigi Tenco e il decano dei critici musicali e amico intimo di tutti i cantautori genovesi Cesare G. Romana, per parlare di un disco dedicato al folklore ligure e piemontese da fare insieme a Fabrizio De André.
«Quando torno da Sanremo ci rimbocchiamo le maniche», disse Tenco. «Ritorna vincitor», disse Romana citando Aida. «Macchè, mi sbatteranno fuori ma non me ne frega niente. Vado solo perché mi obbliga la mia casa discografica». È questa una delle poche testimonianze su Tenco prima del suicidio, durante il Festival di Sanremo del 1967, di cui ricorre mezzo secolo il 27 gennaio. Personaggio tormentato e ombroso Tenco, uomo che viveva intensamente i suoi problemi esistenziali e drammaticamente il suo anticonformismo. Uno che cantava canzoni impegnate e progettava dischi folk. Ma cosa poteva fregargliene a uno così di essere eliminato al Festival di Sanremo con Ciao, amore ciao, un brano che originariamente aveva un altro titolo (Li vidi tornare) e un altro testo ispirato alla poesia di Luigi Mercantini La spigolatrice di Sapri. C’è però la testimonianza di Mike Bongiorno, conduttore della tragica kermesse, che dichiarò: «All’inizio sembrava che del Festival, a Luigi, non gliene fregasse niente. Poi la nevrosi della gara lo catturò, trasformandolo». Lui difese la sua integrità artistica fino alla fine. L’ultima sera eseguì Ciao, amore ciao in modo esasperatamente lento (alcuni dicono per smarcarsi dalla versione di Dalida, da lui ritenuta troppo commerciale), quasi afono, gonfio di alcool e di tranquillanti, e il maestro Giampiero Reverberi, che dirigeva l’orchestra, fece fatica a stargli dietro. Pochi attimi dopo avrebbe saputo – mentre giaceva sdraiato su un tavolo da biliardo – che la sua canzone era stata eliminata in favore della marcetta La rivoluzione («Ci sarà la rivoluzione nemmeno un cannone però tuonerà», intonva il ritornello) interpretata da Gianni Pettenati e Antoine. Tenco incassa il risultato – pare che abbia insultato di brutto Marcello Minerbi del gruppo Marcellos Ferial (uno dei suoi mentori) accusandolo di averlo fatto entrare nel mondo della musica, e con l’amico Piero Vivarelli, si imbottisce di cognac e di barbiturici. Accompagna comunque Dalida in un ristorante vicino al porticciolo, ma non si ferma con la sua ex fidanzata…Riparte in auto sgommando e torna nella sua camera d’albergo, dove si spara alla tempia destra con una Walter Ppk (tutti sapevano che Luigi Tenco possedeva più di una pistola). Anche il suo ex amico Gino Paoli (litigarono, fra l’altro, per questioni legate al fidanzamento di Paoli con Stefania Sandrelli) tentò di suicidarsi con un colpo di pistola al cuore, ma lo sparo che uccise Tenco fa udire ancora la sua eco nel mondo della musica moderna. Non per i dubbi paventati – e poi immediatamente fugati dalle indagini – degli sciacalli che hanno alimentato la storia dell’omicidio, ma per l’incomprensione del gesto, o meglio, per la perdita di un personaggio troppo vulnerabile per il mondo patinato e leggero della musica pop di allora. Tenco era quello che nel 1962 aveva pubblicato il primo long playing con brani come Mi sono innamorato di te, Angela e la meno nota, ancorchè censurata dalla Rai, Cara maestra; era l’amico del poeta anarchico Riccardo Mannerini; era quello che si faceva di nuovo bloccare dalla censura canzoni quali Io sì e Una brava ragazza. È vero, fece anche qualche film musicale come usava all’epoca, come La cuccagna di Luciano Salce, ma non era il solito «musicarello» e tra l’altro in quella pellicola Tenco interpretava ballata dell’eroe di De André. Da cantautore con l’anima scrisse anche per altri, come la versione italiana (peraltro non un capolavoro con quell’attacco «i tuoi occhi sono fari abbaglianti io ci sono davanti») di I Ain’t Gonna Eat My Heart Out Anymore degli Young Rascals trasformata nel successo dei Primitives di Mal Yeeeeeeh!. Quante canzoni avrebbe potuto ancora scrivere, quanti pensieri trasformare in musica se non ci fosse stato quel maledetto colpo di pistola… Anche NEL 2016 l’Associazione Luigi Tenco – con la raccolta di 100mila firme tra cui quella di Orietta Berti, citata peraltro nel biglietto d’addio del cantautore, ha chiesto nuove indagini, per arrivare poi all’archiviazione. Da anni comunque la famiglia Tenco condivide la tesi ufficiale del suicidio. Ma lui, come i grandi del rock, ha avuto la sua morte eclatante (come la fucilata, anche questa misteriosa e molto indagata, che si sparò Kurt Cobain) è entrato nell’Olimpo dei maledetti lasciando un biglietto che è una vera sfida alla canzone usa e getta: «Ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e a una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao Luigi».
Anche per questo ultimo messaggio Tenco è rimasto un simbolo della canzone impegnata e d’autore. Il Premio Tenco, a lui dedicato dal 1974, promuove i migliori nuovi cantautori in circolazione ed è quotatissimo a livello internazionale. Ma il peso della sua arte si fa sentire su generazioni trasversali di musicisti: tanto per cominciare quest’anno verrà celebrato al Festival. Poi ci sono i tributi come l’album di cover Come fiori in mare, in cui artisti come Ivano Fossati e Teresa De Sio rileggono brani come Ragazzo mio e Lontano lontano fino ad arrivare ai La Crus con Un giorno dopo l’altro. Di Tenco è andato tutto distrutto, ma nel 2009 è uscito il doppio Inediti con pezzi mai pubblicati dell’artista e altri cantati da Massimo Ranieri, Morgan e Stefano Bollani.

Antonio Lodetti, Il giornale

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