Nato il 6 gennaio ad Asti, figlio di legali, trascorrerà i primi 40 anni della sua vita tra un’udienza e l’altra. Poi, la folgorazione per il jazz. Che, con magistrale raffinatezza, mescolerà alla letteratura e alla pittura. Disegnando paesaggi sonori tra la nebbia nordica e il sole più esotico
“Un avvocato? È un pianista della parola”. Paolo Conte sottoscriverebbe al volo questo aforisma uscito dalla penna ispirata di un giornalista francese nella seconda metà del diciannovesimo secolo. L’artista più singolare del panorama musicale italiano compie 80 anni e una serata, venerdì 6 a partire dalle 21.15, sarà a lui dedicata su Sky Arte con la proiezione di due documentari Paolo Conte – una faccia in prestito e Musicalmente Paolo Conte, suo concerto del 1982. Proprio a Repubblica, lo scorso ottobre, in occasione del lancio dell’album Amazing Game, dichiarò a proposito di questo traguardo: “Come mi preparo? Mi preparo, in qualche modo, con fatica, ma la speranza è che ci sia ancora qualcosa da sognare”. E di sogni l’avvocato astigiano ne ha realizzati innumerevoli. “Ci sono due Italie. Una è quella che quando si dice ‘l’avvocato’ pensa a Gianni Agnelli. L’altra è quella che pensa a Paolo Conte. Io sto con la seconda”, avrebbe detto nei suoi concerti Francesco Guccini.
Nato il 6 gennaio del 1937, Conte dopo essersi laureato in Giurisprudenza, tra un’udienza in Tribunale e l’altra (praticherà la professione per 40 anni), coltiva la passione per il jazz d’oltreoceano insieme al fratello Giorgio. I bastimenti che arrivano in Italia dal continente americano gli portano in regalo dischi a 78 giri che lo iniziano al jazz e ai suoi miti: Louis Armstrong, Count Basie e Duke Ellington. L’avvocato inizia a mischiare il jazz festante e circense, sporco ed elegante, orchestrale e raffinato, con le atmosfere della provincia nebbiosa del Nord Italia, non disdegnando letture ricercate: Dino Campana, Camillo Sbarbaro, Guido Gozzano.
Il Paul Conte Quartet è il primo laboratorio dei sogni e dell’idea di fondere la musica afroamericana per eccellenza e sentimento, sensualità e ferocia, con il costume della tradizione della provincia italiana, persa in una notte di fugaci trasgressioni al Bar Mocambo. Il titolo dell’esordio, The Italian Way to Swing è già tutto un programma. Le prime composizioni, alla fine degli anni Sessanta-inizio Settanta, sono gemme lucenti che faranno parte da quel momento in poi del patrimonio della musica italiana. 1968: Azzurro scritta per Celentano. 1970: Messico e nuvole per Enzo Jannacci. 1974 e 1975: Onda su onda e Genova per noi, scritte per Bruno Lauzi.
Intanto, è il momento dell’omonimo esordio solistico. Nel 1974, Paolo Conte non è solo un prezioso autore di brani ma un interprete che si segnala per la sua voce ‘fumosa’, roca, sghemba, da chansonnier vissuto, così ricca di sfumature e di graffi da imporlo subito all’attenzione della critica musicale. Così vicino e lontano da un altro affascinante autore perso tra ghirighori di fumi, alcool e insonni, infinite nottate: Tom Waits. La consacrazione al Premio Tenco nel 1976 sarà il primo di una lunga serie di riconoscimenti (sei Targhe e un Premio, record imbattuto). Dalla e De Gregori riconoscono il suo talento proponendo nel tour di Banana Republic (1979) i brani Gelato al limon e Bartali così spingendo l’artista piemontese verso la completa notorietà negli anni Ottanta, non solo in Italia, ma anche all’estero e soprattutto in Francia (nel 2001 otterrà l’onorificienza di Chevalier dans l’Ordre des Arts et Lettres. Mentre nel 2011 guadagnerà la Grande médaille de Vermeil de la Ville de Paris).
Dapprima Paris Milonga (1981), album che contiene Via con me, la canzone che più di tutte riassume la sua cifra stilistica, e in seguito il capolavoro degli anni Ottanta, Aguaplano (1987), doppio album, e concerti in ogni parte del mondo (da Montreal a New York, da Amsterdam a Parigi) lo preparano per un altro salto di qualità: il progetto ambizioso di realizzare un musical (lo farà solo un decennio dopo), dal titolo Razmataz (2000), presentato in anteprima a Londra con tanto di successivo dvd. È la rappresentazione, attraverso la storia di una ballerina nera, dello sconfinato amore verso la musica afroamericana e del suo incontro con la cultura musicale europea.
Nel 2003 l’Università degli Studi di Macerata gli conferisce la Laurea honoris causa in Lettere Moderne con questa motivazione: “Per l’alta valenza letteraria della sua proposta artistica e per i testi delle sue canzoni, tra le più interessanti produzioni poetiche del Novecento”. L’artista in tutta la sua umiltà dichiarerà: “Signore e signori dell’Università, su questa mia faccia, sempre che sia sufficientemente espressiva, potete leggere tutta la soddisfazione per l’onore che mi fate, ma anche l’imbarazzo di uno che non è assolutamente in grado di tenere per voi una lectio doctoralis”.
Dei due suoi ‘vizi capitali’, oltre alla musica c’è la pittura, a cui Conte dedica gran parte del tempo e che gli consentirà di ottenere altri importanti riconoscimenti, tra cui un’altra Laurea honoris causa, in Pittura, questa volta attribuitagli dall’Accademia di Belle Arti di Catanzaro per la “conclamata competenza nel campo della pittura, con particolare riferimento alle creazioni dell’opera multimediale Razmataz”.
“Ci sono artisti che desiderano morire in scena, altri che se la sentono di praticare la difficile arte di fare i pensionati. Ma poi, di notte, col favore delle tenebre, la musica potrebbe bussare alla porta”. Con queste parole Paolo Conte ha attraversato un altro decennio e tante altre storie in musica: Elegia, Psiche, Nelson, Snob o Amazing Game, il suo più recente lavoro completamente strumentale. Con l’augurio che per il prossimo futuro abbia sempre un ‘piano’ a disposizione.
Michele Chisena, La Repubblica