FRANK ZAPPA, VITA DA FILM DI UN ROCKER CHE NON VOLEVA BRUCIARE LE BASI NATO IN GERMANIA

FRANK ZAPPA, VITA DA FILM DI UN ROCKER CHE NON VOLEVA BRUCIARE LE BASI NATO IN GERMANIA

In “Eat That Question” il musicista racconta storie inedite. Inclusa un’incredibile proposta

frank-zappaMorto da ventitré anni, per una volta Frank Zappa non fa eccezione e, come molte altre stelle del rock, fa parlare di sé più adesso di quando era vivo.
L’argomento dell’anno, in casa Zappa, è stata la faida tra i figli Ahmet e Diva da una parte e Dweezil e Moon Unit dall’altra. Faida che si riflette anche sulla produzione di artefatti intorno alla figura di Frank: il documentario ufficiale che il regista Alex Winter ha girato in collaborazione con lo Zappa Family Trust deve ancora uscire ed è già oggetto di polemica tra le due fazioni; Eat That Question, invece, opera indipendente del documentarista tedesco Thorsten Schütte e distribuito da Sony Picture Classics, ha gia incantato il pubblico del Sundance a inizio 2016 ed è da poco disponibile anche su Dvd.
Schütte, a differenza di Winter, non ha avuto accesso al leggendario archivio di materiale audio e video della famiglia Zappa, ma è riuscito comunque a documentare con grande precisione le apparizioni pubbliche più significative di Frank.
Il bello di Eat That Question è ben spiegato dal sottotitolo, Frank Zappa in his own words, che si traduce in una specie di semplice dogma: musica usata come stacchetto solo per voltare pagina, nessuna intervista a vecchi compagni di band, nient’altro che Zappa in persona che parla di politica, cultura, filosofia, vita famigliare e musica. Apparizioni in qualità di ospite a talk show, deposizioni davanti al Senato degli Stati Uniti, spezzoni di programmi musicali americani ed europei: tutte occasioni per ricevere il messaggio zappiano direttamente dal suo creatore, senza alcun tipo di intermediazione e senza alcun criterio di plot o di cronologia. Un lunghissimo montaggio di tante piccole performance verbali di un’icona del rock ancora largamente sconosciuta anche ai più ferventi appassionati del genere.
La certosina antologia di Schütte non poteva non includere il celebre concerto per bicicletta del 1963 allo Steve Allen Show, prima apparizione assoluta di Zappa in televisione: Frank è un nasuto ragazzo siciliano di 22 anni, con i capelli impomatati, allampanato, senza baffi a mosca e a metà tra l’emozionato e il divertito. Dice di essere un compositore e di poter suonare una bicicletta come se fosse un grande strumento musicale. Allen la butta sul ridere e per tutta l’esibizione punzecchia amabilmente il giovane Frank, che però se la cava più che bene e, soprattutto, fa entrare nel salotto degli americani del 1963 la musica sperimentale che più gli piaceva. Non mancano gli interventi di Zappa contro la censura del PMRC, un gruppo di potere che, negli Stati Uniti degli anni ’80 e ’90, controllava che i testi delle canzoni non contenessero riferimenti a sesso e violenza. Zappa fu uno dei musicisti che più si batté per contrastare il perbenismo e la restaurazione puritana dell’epoca-Reagan. Andò in televisione e perfino al Senato, dove tenne una memorabile lezione di diritto costituzionale che sembrava scritta da Thomas Pynchon. Troviamo anche il momento in cui Zappa si rivela per quello strano tipo di conservatore che a tutti gli effetti è stato: quando racconta di quanto fossero politicamente confusi e velleitariamente violenti gli studenti tedeschi in rivolta nella Berlino Ovest del 1968. I leader studenteschi avevano invitato Zappa ad andare ad appiccare un incendio a una base Nato lì vicino e lui aveva chiesto loro se fossero pazzi o cosa, al che erano cominciate le contestazioni e gli incidenti durante il concerto. È documentata anche la strana avventura di Zappa in veste di Ambasciatore Culturale e Commerciale degli Stati Uniti nella fantasiosa Cecoslovacchia di Vaclav Havel. Un’avventura da sogno-hippy che fu bruscamente interrotta dal Segretario di Stato americano James Baker, che disse più o meno a Havel: «Puoi scegliere se intraprendere regolari rapporti con gli Usa oppure intraprenderli con Frank Zappa, decidi tu».
Ha fatto bene il regista a eliminare quasi del tutto l’aspetto musicale e a concentrarsi sul pensiero di Zappa: la musica sarebbe stata un ospite molto ingombrante e avrebbe preteso tutto lo spazio per sé. Così strutturato, invece, Eat That Question finisce per essere il ritratto fedele di un uomo libero, scomodo, controcorrente naturale, postmoderno inconsapevole, sempre un po’ a disagio con il resto dell’umanità, molto intelligente e fondamentalmente solipsista.

Marco Drago, il Giornale

Torna in alto