L’attore in scena a Torino con un testo di Coward, al cinema con Ficarra & Picone
Se chiudi gli occhi, ti sembra di sentir parlare Woody Allen. Nei film in italiano, naturalmente: dopo Oreste Lionello, da anni gli dà voce lui, Leo Gullotta. E Gullotta ha doppiato Allen nella prima serie diretta e interpretata dall’attore-regista americano, prodotta da Amazon: «Si intitola Crisi in sei scene – dice – si raccontano gli anni che precedettero il ’68: un racconto indagatore tra finti intellettuali e studenti-pantera, molto sociale, un linguaggio nuovo per Allen. È bello andare avanti ed evolversi. Sempre restando, come io mi ritengo, un buon artigiano dello spettacolo. E sostengo: se dalla vita hai ricevuto, alla vita devi restituire».
Così l’attore siciliano, che compirà 71 anni il 9 gennaio, intende il suo lavoro. E fa l’esempio di Spirito allegro dell’inglese Noël Coward, lo spettacolo che arriva martedì 27 al Carignano di Torino, e sarà poi l’8 febbraio al Carcano di Milano, regista Fabio Grossi, traduzione di Masolino d’Amico, con Betti Pedrazzi, scene di Ezio Antonelli, costumi Tirelli, musiche di Germano Mazzocchetti.
Esorcizzare i tempi
«Coward scrisse la commedia nel 1941, in piena guerra: voleva esorcizzare la morte. Noi la riproponiamo adesso, in questi tempi tristi, rissosi e incerti, per esorcizzare il pessimismo, la negatività. Viviamo in un’epoca spaurita, e invece dobbiamo uscire di casa, lasciare internet per qualche ora. È una medicina per la mente, questa commedia, una bella edizione, elegante nelle scene e nei costumi, ispirata ai film di Lubitsch. Ci sono equivoci, ambiguità, tutto espresso in un gioco aperto con il pubblico». Una bella casa, una seduta spiritica, una prima moglie defunta che, evocata, non se ne vuole più andare. «Faccio questo lavoro da 54 anni, ne compirò 71 proprio a Torino e son contento. Ho lavorato con Turi Ferro, Salvo Randone, Enriquez, la Moriconi, Glauco Mauri: la lezione più forte che ne ho tratto è che bisogna cercare di essere persone perbene».
Nato a Catania, era il sesto figlio di un papà pasticcere: «Sono sempre stato un ragazzino curioso, lo sono ancora. Ho cominciato a recitare, dopo poco ero già in scena con Stasera si recita a soggetto di Pirandello. Non ho più smesso, ma dopo dieci anni con Turi Ferro ho pensato che un attore deve guardare, incamerare, per migliorare. Ho fatto cabaret, ho scoperto i muscoli facciali e un genere. Fino ad arrivare al Bagaglino. Che era teatro, compagnia e poi divenne spettacolo tv. Andammo in video per 22 stagioni, sempre con Pingitore, cominciando nel 1987, Biberon, Rai1. C’ero io, e c’erano Oreste Lionello, Pippo Franco, Gabriella Ferri. Entravamo nelle case degli italiani con grande affetto, e l’immaginario del pubblico fu molto colpito. Arrivavano i politici, con loro si rideva e si giocava, ma gli unici realmente spiritosi furono Andreotti e Mannino».
Il 19 gennaio uscirà nelle sale il nuovo film di, e con, Ficarra & Picone: «Mi piacciono molto, loro puntano l’osservazione umoristica verso il sociale. È la storia di un paesino, con due candidati sindaci. E io sarò il prete del paese, simpatico e curiosetto».
Insomma, un attore talmente poliedrico da essere pure diventato protagonista del libro di Elvia Gregorace, Mister Gullotta, Leo My Huge Pumpkin. Curioso titolo, Leo Grande Cocomero: «L’autrice mi faceva domande, io rispondevo, è venuto fuori un racconto particolare, il grido di dolore dei giovani verso una società che si rifiuta di considerare le loro qualità. E intanto questi ragazzi non possono farsi strada se non dicendo “Mi manda Picone”. Non va bene. Per questo credo che un po’ di Spirito allegro sia un balsamo».
di Alessandra Comazzi, La Stampa