I congedi di David Bowie e Leonard Cohen, la consacrazione di Beyoncé, l’ondata black di Kanye West, Chance The Rapper e Frank Ocean, il ritorno dei Radiohead e un pizzico d’Italia: le scelte di alcuni tra i più autorevoli siti e giornali internazionali
Nel 2016 sono stati pubblicati nel mondo 942.836 nuovi album. In omaggio alla stagione delle bufale e delle «fake news», il numero che avete appena letto è assolutamente inventato. Ma visto come stanno le cose nel brulicante paesaggio della musica digitale, può darsi che non sia troppo lontano dalla realtà: sommando i dischi autoprodotti e caricati su piattaforme come YouTube, SoundCloud e BandCamp all’abitudine diffusa tra artisti ed etichette tradizionali di aumentare il ritmo delle pubblicazioni, ormai è praticamente impossibile tenere il conto delle nuove uscite. Ed è abbastanza interessante notare come anche in un’epoca frenetica come quella attuale, basata sul consumo di contenuti snack e su playlist sempre più caleidoscopiche, l’album rimane un formato cardine per tutta l’immensa area artistica che va dal rock al soul, dall’elettronica all’hip hop, dal jazz al folk e che potremmo – con gran forzatura – raccogliere sotto l’ombrellone del pop.
Come orientarsi in questo caos di suoni e vibrazioni? Una storica bussola sono le classifiche di fine anno. Nate sulle riviste specializzate, esplose online su blog e forum, le varie Top10, Top50 e Top100 rappresentano ormai un fedele compagno di viaggio per l’intero mese di dicembre. Con sempre maggiore contaminazione algoritmica e tecnologica: negli ultimi anni, alle classifiche redatte da esseri umani si sono infatti aggiunte quelle basate sugli effettivi download/stream, per esempio l’analisi di quella 2016 di Spotify. Insomma, si può dire che la complessità, la varietà e la confusione delle uscite discografiche si riflette anche nel mondo delle «liste».
Noi abbiamo provato a mettere un po’ d’ordine. Abbiamo selezionato dieci fonti giornalistiche internazionali, tra quelle che hanno già diffuso i loro «best of 2016»: riviste autorevoli in ambito rock (le britanniche Mojo, Uncut, NME, The Wire, l’americana Rolling Stone, la francese Les Inrockuptibles), un quotidiano inglese molto attivo e attento sul fronte musicale (The Guardian) e tre siti che si sono costruiti una solida reputazione a colpi di recensioni (Pitchfork, PopMatters, Fact). Abbiamo isolato i primi dieci album in ciascuna classifica, assegnando 10 punti al primo, 9 al secondo, 8 al terzo e così via. Il risultato è la Top 10 che trovate qui sotto, in rigoroso ordine rovesciato. Un semplice gioco algebrico, senza dubbio, che finirà inevitabilmente per accendere qualche confronto con le preferenze personali («come fa a non esserci quest’album?»). Ma anche una piccola guida per chi vuole sapere qual è stata secondo la critica internazionale la migliore colonna sonora del 2016, recuperando dischi che magari sono sfuggiti durante l’anno.
Buona lettura e buon ascolto.
10. Atrocity Exhibition (Danny Brown)
Quarto album in studio per il rapper di Detroit. Riesce a entrare in classifica grazie ai due exploit registrati su Fact e PopMatters, dove è stato indicato come terzo miglior disco dell’anno.
9. A Seat at the Table (Solange)
Ex-aequo con Leonard Cohen. Un album musicalmente molto colto e raffinato, tra funk e soul, piaciuto al di qua e al di là dell’Atlantico: quinto in classifica per il Guardian, addirittura primo per Pitchfork. Curiosità: Solange è la sorella minore di Beyoncé, anche lei presente in questa Top10.
8. You Want It Darker (Leonard Cohen)
A pari punti con Solange. Il quattordicesimo e ultimo album di Leonard Cohen è stato premiato soprattutto dalla vecchia guardia critica d’oltremanica (rispettivamente quarto e quinto posto sui mensili Mojo e Uncut). L’artista canadese è morto il 7 novembre, poco dopo la pubblicazione del disco: come era accaduto qualche mese prima a un altro famoso collega (di cui ci occuperemo).
7. Coloring Book (Chance The Rapper)
Di gran lunga l’album più solare e ottimista in una classifica dalle atmosfere peraltro piuttosto uggiose. Un coloratissimo intreccio tra gospel, hip hop e altre spezie, che ha conquistato Rolling Stone (terzo posto) e i siti americani, lasciando invece abbastanza tiepidi i critici europei. Interessante il metodo di distribuzione: nessuna etichetta discografica, qualche giorno di esclusiva su Apple Music e poi via libera ovunque, dallo streaming al free download.
6. Skeleton Tree (Nick Cave & The Bad Seeds)
Un monumento australiano del rock mondiale, giunto al sedicesimo disco di studio (senza contare le colonne sonore e le militanze antiche nei Birthday Party e recenti nei Grinderman). Rispetto alle tinte vivaci di Chance The Rapper, i toni sono decisamente più oscuri e introspettivi, complici le tristi vicende personali che hanno accompagnato la registrazione dell’album (la scomparsa del figlio Arthur nel 2015). Una magica alchimia di pianoforte, elettronica e atmosfere ambient che ha stregato in particolare la triade britannica Mojo (terzo posto), Uncut (terzo), The Wire (quinto).
5. A Moon Shaped Pool (Radiohead)
Altro grosso calibro del panorama rock, di nuovo sulle scene a cinque anni dal precedente album The King of Limbs. Dopo aver preparato il terreno con l’ormai consueta esibizione di maestria nel marketing online (una notte di primavera sono svaniti dai social network…), la band di Oxford ha pubblicato una raccolta di brani inediti, in parte conosciuti dai fan perché già suonati – in forme diverse – dal vivo (nel caso di True Love Waits, addirittura nel lontano 1995). Un viaggio cosmico di meravigliosa e rifinita produzione, presentato in insolito ordine alfabetico, che ha raccolto il plauso soprattutto nelle redazioni di Uncut e PopMatters (in entrambi i casi: medaglia d’argento).
4. The Life of Pablo (Kanye West)
Ormai di Kanye West si parla spesso per ragioni extramusicali. Esempi freschissimi: l’improvvisa interruzione del tour con ricovero per esaurimento nervoso e la repentina visita alla Trump Tower per incontrare il neoeletto presidente degli Stati Uniti. Ma nel 2016 l’artista ha aggiunto anche l’ennesima perla a una collana artistica già molto ricca, con un album avventuroso non solo nei suoni ma anche nella distribuzione (dopo la prima uscita, West ha continuato a modificare alcune canzoni, aggiornandole direttamente sui servizi streaming). Rispetto al passato, la critica non ha risposto con il consueto plebiscito di congratulazioni senza se e senza ma. Ma NME (secondo), Guardian, Pitchfork e Les Inrockuptibles lo hanno piazzato molto in alto nelle rispettive classifiche.
3. Lemonade (Beyoncé)
Chi ha ricevuto la definitiva consacrazione è stata invece Beyoncé. Nell’anno in cui le classifiche finali snobbano platealmente i nuovi album di Rihanna e Lady Gaga, il suo Lemonade risplende trionfalmente al primo posto nelle Top10 di pubblicazioni anche molto diverse tra loro come Rolling Stone, Guardian e PopMatters. Il pop che piace alla critica, insomma. Un disco dalle tante collaborazioni (James Blake, Kendrick Lamar, Jack White, The Weeknd), non solo da ascoltare ma anche da guardare (è stato accompagnato da un film trasmesso sul canale statunitense HBO) e da analizzare per le strategie promozionali e distributive (ad aprile è stato distribuito in esclusiva su Tidal, il servizio streaming proprietà del marito Jay-Z: si può acquistare nei negozi di dischi e in download, ma al momento non è ancora disponibile su Apple Music e Spotify).
2. Blonde (Frank Ocean)
Come ormai capita spesso, anche Blonde di Frank Ocean ha inizialmente fatto parlare di sé per ragioni tecnologiche/industriali: distribuito in esclusiva su Apple Music, ha segnato il burrascoso addio tra il 29enne rapper di Long Beach e l’etichetta Def Jam (gruppo Universal). Quindi la musica ha preso il sopravvento, conquistando pubblico e critica grazie alle sue atmosfere sperimentali e all’immancabile legione di collaborazioni eccellenti (Pharrell Williams, Kanye West, Beyoncé, André 3000 (Outkast), James Blake). Difficile etichettare Blonde: si parte dall’hip hop, ma si scivola presto verso l’elettronica, il soul, l’r&b, le contaminazioni estreme che vanno dal minimalismo al pop (nei credits vengono citati persino Lennon & McCartney). Forse è la visione musicale che meglio rappresenta l’attuale epoca interconnessa e liquida. Di certo è piaciuto parecchio: è presente in sette classifiche, senza numeri uno ma raggiungendo la piazza d’onore su Pitchfork e Guardian.
1. Blackstar (David Bowie)
Il trionfatore assoluto, con una quantità di punti che si avvicina alla somma di quelli raccolti assieme da Frank Ocean e Beyoncé, frutto di tre primi posti (Mojo, Uncut, Les Inrockuptibles) e di una presenza in nove classifiche su dieci (solo Fact lo relega al ventitreesimo posto). Difficile imputare il tutto semplicemente all’emozione e al tributo: la «stella nera» è apparsa in cielo l’8 gennaio, due giorni prima di essere raggiunta dall’artista, ed è riuscita a brillare e resistere nelle preferenze dei critici per undici mesi, un lasso di tempo sorprendente se visto attraverso i ritmi e i filtri emotivi della contemporaneità. Ma forse non poteva essere altrimenti: in Blackstar David Bowie ha raccolto sette gemme preziose, confezionando l’ennesimo vestito sonoro dell’istrionica carriera, dove spiccano le linee jazz tracciate dal sax di Donny McCaslin e si spazia dalle tinte dark della chilometrica title-track e di Lazarus alla bucolica nostalgia di Dollar Days, al consapevole, leggero congedo di I Can’t Give Everything Away. Il più bel regalo d’addio che potessimo ricevere.
LA CLASSIFICA
1. Blackstar (David Bowie) 75 punti
2. Blonde (Frank Ocean) 44
3. Lemonade (Beyoncé) 39
4. The Life of Pablo (Kanye West) 30
5. A Moon Shaped Pool (Radiohead) 25
6. Skeleton Tree (Nick Cave & The Bad Seeds) 23
7. Coloring Book (Chance The Rapper) 20
8. You Want It Darker (Leonard Cohen) 19
8. A Seat at the Table (Solange) 19
10. Atrocity Exhibition (Danny Brown) 16
P.S. Un pizzico di tricolore è presente anche nelle dieci classifiche internazionali che abbiamo selezionato per questo articolo: al quarto posto della Top10 di Fact c’è infatti Persona di Lorenzo Senni, l’EP con cui l’artista milanese ha debuttato sulla prestigiosa etichetta londinese Warp Records: «… molto più che un esercizio nostalgico nella musica trance: i sei brani sono intricate sinfonie pop che suonano come un incrocio tra la musica della PC Music di A.G. Cook e Ryuichi Sakamoto».
di Luca Castelli, La Stampa