Adesso bisogna dare più voce al 60 per cento degli italiani, quelli che hanno vinto il referendum
La maggioranza silenziosa del Paese – come veniva considerato, a torto o a ragione poco importa, il fronte del No – chiede ora alla Rai di voltare pagina e di mettersi completamente al servizio di tutti i cittadini. E con qualche ragione, aggiungo io. Al di là delle assicurazioni che ci sono state date durante la campagna elettorale che è finita come è finita, Renzi & C., sono infatti sembrati eccessivamente sovraesposti nella tv pubblica. Mi è venuta in mente, a questo proposito, una frase di Leo Longanesi, il romagnolo doc maestro di Montanelli, che diceva «Mussolini ha sempre ragione»: non siamo più nel Ventennio, ma Matteo, stando a certi programmi televisivi, aveva sempre ragione. Ma, come spesso succede, il troppo stroppia e, come molti addetti ai lavori avevano pronosticato, la presenza mediatica incontrollata si è poi rivelata un «boomerang» per lo stesso premier dimissionario e per la ministra Boschi. Eppure, non più tardi di due settimane fa, ai tre consiglieri d’amministrazione Rai – Arturo Diaconale, Carlo Freccero ed il sottoscritto – che, sulla par condicio e sulla delicatezza della situazione, avevano chiesto un Cda d’urgenza, era stato risposto picche, come fossimo mosche moleste, perché, ci è stato detto, esiste già un organismo ad hoc, l’Agcom, che controlla il tempo riservato agli schieramenti in campo. Ma, evidentemente, non avevamo poi torto perché, pochi giorni dopo la nostra richiesta, i vertici sono stati comunque convocati proprio sullo stesso argomento dalla commissione bicamerale di Vigilanza Rai. Il problema sul tappeto, in realtà, non è stato tanto il tempo concesso ai due fronti – tot minuti al Sì, tot ai sostenitori del No – quanto, piuttosto, il trattamento delle notizie e il pluralismo dell’informazione radiotelevisiva pubblica. Si è messo, infatti, in atto un sofisticato bombardamento mediatico volto a magnificare l’operato del governo Renzi e a denigrare tutti gli altri. Ci sarebbe pure da ridire sulla collocazione di molti argomenti. Faccio un esempio: allorché si doveva annunciare il calo della produzione industriale, la notizia andava in onda su un tg del pomeriggio, alle 16 e 30, ma quando si è parlato dei dati sulla discesa della disoccupazione, ecco il servizio, in grande evidenza, sul telegiornale delle 20. Smentendo tante piccole furbizie, l’esito del referendum è, comunque, già acqua passata: ora la Rai deve guardare avanti. Se, nelle prossime settimane, il problema del pluralismo dell’informazione resterà assolutamente prioritario – così come possibili redde rationem a prescindere dal cambio della guardia a Palazzo Chigi – il colosso radiotelevisivo dovrà affrontare a stretto giro di posta altre, grandi, emergenze. Bisogna, infatti, sciogliere il nodo del bilancio, sia perché il governo Renzi ha annunciato, anche a fini elettorali, un nuovo taglio, per il 2017, del canone a 90 euro annuali, sia perché è fondamentale razionalizzare i conti Rai. Poi c’è l’urgenza del rinnovo della concessione che è scaduta ed è necessario trovare qualche via d’uscita alla disposizione dell’ Istat che equipara la Rai ad un ente pubblico tout court. Dobbiamo anche risolvere il problema del tetto annuale degli stipendi che include anche i cachet, alcuni favolosi, degli artisti ingaggiati. Tanta carne al fuoco, dunque. Ho sentito Freccero e Diaconale e ci siamo trovati completamente d’accordo: per il bene della Rai, siamo ancora disposti a collaborare a patto che, archiviati gli interessi di Renzi, si cominci davvero a cambiare marcia.
di Giancarlo Mazzuca, Il Giornale