Il regista a Roma per Silence, il film in sala dal 12 gennaio
“E’ una strana coincidenza che Silence esca in America tra due settimane, le ultime di Obama presidente. Mi auguro solo che questo film porti un dibattito sui valori, tanto più ora che nel mio Paese sta per andare al potere la stessa arroganza raccontata da me in The Wolf of Wall Street. Una cosa che non avrei mai immaginato potesse accadere”.
Martin Scorsese non fa il nome di Donald Trump, ma vista la forte spiritualità del suo ultimo lavoro, Silence, in sala dal 12 gennaio con 01, è chiaro il fastidio nel vedere il suo Paese governato dalle sole leggi dell’economia. A quanto si capisce dai suoi interventi il film, tratto dal libro omonimo di Endo con il racconto del martirio dei missionari gesuiti nel Giappone buddista del 1600, è stato un sogno inseguito da sempre. “Già da ragazzo ho avuto sempre il senso della religione e, anche invecchiando, questa cosa non mi ha mai lasciato. Una cosa che mi ha accompagnato in tutti i miei lavori, da Toro scatenato fino a La tentazione di Cristo.
In realtà il libro di Endo – aggiunge il regista – me lo regalò circa 28 anni fa l’Arcivescovo di New York e mi entusiasmò subito. C’era qualcosa di profondo in quelle pagine con cui dovevo venire a patti, c’erano i valori spirituali dell’essere umano. Da subito, già nel 1991, volevo realizzare questo film”.
Una vera battaglia quella di Scorsese per portare avanti Silence: “iniziai a leggere e rileggere il libro pensando a come lo potessi rendere in immagini. Poi ci sono stati problemi finanziari, anche per l’acquisizione dei diritti, insomma una continua battaglia. Nel 2006 la sceneggiatura era però completa.
In tutti questi anni, va detto, ho tentato di capire quello che questo libro significava per la mia vita”.
Il fatto che le scelte personali dei gesuiti, protagonisti del film, alla fine non tengano conto degli altri, spiega Scorsese: “é una cosa che vale per tutte le ideologie che mettono davanti le proprie scelte personali contro tutto. Ma il messaggio del film è legato ai soli fatti per far capire quello che era successo, ovvero l’arroganza dell’Occidente che pretendeva di portare la sua verità universale agli asiatici”.
Il titolo? “È chiaro che si parla di silenzio di Dio anche se questo non esiste davvero perché, alla fine, è sempre un rumore e bisogna solo trovare un modo per scivolare in questo rumore piuttosto che combatterlo”.
Infine sul suo prossimo film, The Irishman, con De Niro, Al Pacino e Joe Pesci e basato sul libro di Charles Brandt, I Heard you Paint Houses: “anche questo lavoro parla in realtà di un mondo sommerso. È un film sulla malavita, dagli anni Sessanta agli Ottanta, raccontata da un settantacinquenne”.
ANSA