La cantautrice, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, si apre su un ex “sbagliato”: «Ho subito violenza psicologica, mi insultava, umiliava, controllava, seguiva». Finché non ha capito che «l’amore non è mai sinonimo di violenza»
«La violenza non vuol dire mai amore. Se abusa di te psicologicamente, ti umilia, quello non è amore. L’amore non è ossessione, non significa aggredire e poi chiedere scusa. E se ti chiede scusa, non perdonarlo, lo rifarà. Quello non è amore». È la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne e l’appello di Paola Iezzi, 42 anni, è forte, deciso, non ammette giustificazioni. Nel corso dell’intervista la cantautrice e dj ci spiegherà pian piano che dietro c’è anche un percorso personale, fatto di sofferenza, di cadute ma finalmente rinascita.
L’inizio da cui partire è più «leggero» e vede lei nei panni di una «stalker», in tv come protagonista della serie Untraditional, pensata e interpretata da Fabio Volo (in onda tutti i mercoledì sul Canale9 del gruppo Discovery, ndr). «Mi sono divertita a recitare», racconta a Vanityfair.it, «interpreto l’ex ragazza di Fabio che non vuole rassegnarsi al fatto che sia finita, e quindi lo perseguita. Abbiamo cercato di mostrarne il lato ironico, ma in verità il personaggio è un po’ inquietante».
Quando un ex fidanzato può diventare pericoloso?
«Quando inizi a vedere che non vuole capire, che non riesce a farsene una ragione. All’inizio è normale non reagire bene a una rottura, ma col tempo può diventare patologico. Credo che oggi sia più difficile lasciarsi perché dopo non puoi sparire nel nulla. Un tempo bastava evitare gli amici in comune e i soliti posti. I social invece fanno in modo che il tuo ex resti sempre lì, a portata di mano. A me fortunatamente non è mai successo, perché l’ultima mia storia è finita prima “dell’era digitale”. Io e il mio fidanzato (il fotografo di moda Paolo Santambrogio, ndr) però ci siamo conosciuti via internet, su Myspace e stiamo insieme da 9 anni».
Le è mai successo di aver avuto un ex «pressante»?
«Un ex no, ma ho avuto una storia non sana».
Ha subito violenza?
«Psicologica, era un amore malato. È durata diversi anni prima che riuscissi a uscirne, non riuscivo ad allontanarmi da lui. Mi insultava, trattava male, era ossessivo, e spesso mi accusava pesantemente di tradirlo quando poi quello che tradiva era solo lui. Abitavamo in due città diverse ed era talmente geloso che ero arrivata al punto di non uscire se non l’avevo avvisato prima. Perché se andavo a far la spesa e lui non sapeva nulla, quando lo scopriva mi riempiva di insulti, mi aggrediva verbalmente. E io glielo lasciavo fare. Anzi, a mia volta ero ossessiva, pressante. Ogni tanto mi lasciava anche, per farmi del male, ricordo una volta che mi lasciò il giorno del mio compleanno, ma io alla fine tornavo sempre con lui».
Quando hai capito che tutto questo non era normale?
«Pian piano. Ero legata a lui e lui era legato a me e quindi mi sentivo potente. Controllava lui, ma controllavo anch’io, era un’ossessione. Ma tanto vai in basso, tanto vai in alto: dopo litigi terribili durante i quali poteva volare anche qualche schiaffo, c’erano picchi pazzeschi. Era come se l’universo fosse fatto solo da te e da lui. Finché ho cominciato a capire che entrambi avevamo dei problemi e ho iniziato un percorso per risolvere i miei. Perché se lasci uno così e non hai risolto le tue debolezze, dopo è facile che ne ritrovi un altro simile. Io invece dopo di lui, non ho mai più cercato un amore non sano.
Fargli capire che era finita è stato difficile?
«No, per fortuna dopo non c’è mai stato alcun episodio di stalking. E io ho chiuso la porta e non mi sono più voltata indietro. Oggi per lui provo affetto e spero che sia riuscito a superare quei comportamenti. Non lo voglio giustificare in nessun modo, perché la violenza non va mai giustificata, ma ho capito che – nel mio caso – il carnefice non era solo lui. Perché quando uno ti tratta male, tu devi essere la prima a non permetterglielo. Devi mettere delle barriere d’acciaio. Invece io lo permettevo e facevo del male a mia volta».
Ieri è stata la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Cosa vuoi dire a quelle donne che vivono un amore sbagliato?
«Che quello non è amore. La violenza, in qualsiasi forma, non è mai sinonimo di amore. Se abusa di te psicologicamente, ti umilia, quello non è amore. L’amore non è essere seguiti, non è ossessivo, non significa insultare e poi chiedere scusa. E se ti dice che non lo farà mai più, non credergli. Se ti chiede scusa, non perdonarlo. È difficile, lo so, è molto difficile. Perché quando vivi quelle situazioni il tuo cervello ormai è segnato. L’abuso psicologico, non ti lascia lividi sulla pelle, ma lividi che ti rimangono dentro. L’autostima viene completamente demolita, è un gioco al massacro».
Da dove si ricomincia?
«Prima di ritornare nel modo reale ci vuole un po’. Va bene l’aiuto della rete, dei familiari, degli amici, ma tutto questo non è sufficiente. Bisogna chiedere aiuto a un esperto, a uno specialista. Io credo molto nella terapia psicologica, a me ha fatto molto bene. Le prime fasi sono le più difficili, poi si deve proseguire lungo la strada della costruzione».
Al suo attuale compagno ha raccontato del suo non facile passato sentimentale?
«Sì, ho voluto parlargliene subito, mi sentivo di fargli capire da dove arrivavo, e poi noi due parliamo sempre molto».
Oggi da donna si sente più o meno sicura, rispetto al passato?
«Quando vado in giro in una strada buia, o al parco da sola non sono mai completamente serena. Mi sento di dire che le donne convivono con la paura. Perché siamo sempre un po’ più fragili, anche solo fisicamente, e perché gli uomini spesso si sentono autorizzati ad andare verso le donne anche senza aver ricevuto il loro permesso. Non mi capita quasi mai di sedermi su una panchina al parco, per qualche ora, senza che nessuno si avvicini».
Che cosa ci salverà?
«L’educazione. Al bello, all’amore, a qualcosa. Non c’è amore dove non c’è educazione. Bisognerebbe avere contezza di se stessi solo in relazione agli altri. Questo andrebbe insegnato ai ragazzi di oggi. Agli uomini e alle donne».
di Stefania Saltalamacchia, Vanity Fair