Come può cantare una storia così precisa, raccontandone non solo le sfumature sociali, ma anche quelle intime? Lui, in fondo, in un contesto anche di crisi, rimane un privilegiato… “Da circa trentacinque anni con una ventina di amici prendiamo una casa in affitto in campagna, qui vicino. Un po’ il nostro Bar Mario dove però siamo i soli avventori. Ci sono io, un paio di imprenditori, ma poi ci sono operai, camionisti, impiegati. Tutta gente con cui sono cresciuto, e che giustamente mi prende a calci nel culo ma fa stare coi piedi per terra. Normale che la realtà del 2016, quella che per i miei privilegi potrei anche non conoscere, mi sia ben nota”
“Da bravo catto-comunista mi sono sentito i sensi di colpa per il mio successo, e me la vivevo proprio male. Una vita da mediano, oggi posso dirlo, è il frutto di quel mio sentire, è il mio fare i conti col successo e col fatto che il successo, nonostante i tanti privilegi che comporta, non necessariamente comporta la felicità. Tutti dobbiamo tendere alla felicità, no?”
Sono a Correggio, la città di Pier Vittorio Tondelli, uno degli autori italiani che maggiormente ha contaminato letteratura e musica, in un passato che oggi sembra ahinoi lontanissimo. Correggio, in provincia di Reggio Emilia, oggi decisamente più la città di Luciano Ligabue, che di questa provincia è stato ed è il cantore. Sono a Correggio per incontrarlo all’alba dell’uscita del suo nuovo inatteso album, Made in Italy. Inatteso per più motivi. Primo perché esce a poca distanza da Giro del mondo, mastodontico triplo live, e soprattutto dai festeggiamenti di Campovolo per il venticinquennale. Inatteso perché, lo confesso, dopo l’ascolto del singolo G come Giungla e l’annuncio che Made in Italy sarebbe stato un concept album, le aspettative per questo nuovo lavoro erano davvero bassine. Invece Made in Italy è un album importante e lo è per diversi motivi. Primo perché mostra un Ligabue inedito, per la prima volta intento a raccontare una storia non sua in prima persona, che quindi interpreta un personaggio, Riko. Poi perché è la prima volta, per lui e non solo, di un romanzo scritto per canzoni.
“Questa è la storia di Riko, un uomo di mezza età che si trova a fare i conti prima con la propria vita irrisolta, poi con la crisi che sta toccando l’Italia da anni, poi con la sua ritrovata voglia di essere felice”, aveva attaccato Ligabue a inizio chiacchierata. “Questo lavoro è nato come urgenza. Dopo aver fatto un tour in giro per il mondo, e dopo aver festeggiato il venticinquennale della carriera a Campovolo mi sono isolato venti giorni e ho scritto tutto di getto, giocando coi generi, quindi non solo con il rock’n’roll, ma anche col funky, il reggae, il soul. Oggi ho una band affiatatissima, con tanto di sezione fiati, è bastato far ascoltare loro i provini e registrare in presa diretta, alla vecchia.”
Un album urgente, quindi. Perché? E soprattutto, perché raccontare la storia di qualcun altro, Riko, nello specifico? “Sono arrivato a pubblicare dopo aver fatto tutta una serie di lavori, a trent’anni. Lavori come l’operaio, il ragioniere, anche un’esperienza da promoter. Tutti lavori che ho presto abbandonato, perché non mi ci trovavo. Ho comunque avuto a che fare con il mondo del lavoro. Questo è un album del 2016, non poteva che partire dalla realtà di oggi. Quindi la crisi. Ma non solo. Made in Italy racconta la storia di un uomo che sta vivendo una crisi personale. Si trova a fare un lavoro che non ha scelto ma che, come per tutti, lo rappresentata totalmente. Vive una storia matrimoniale con la donna con cui sta da sempre. Ha un figlio con cui non ha rapporti. Poi arriva la crisi. E l’unico modo che una persona normale ha di affrontare la crisi è scendere in piazza, un gesto antico, d’altri tempi. Un modo per esserci fisicamente, che diventa un modo per esserci fisicamente radicale, nel momento in cui Riko si trova di fronte un giovane poliziotto impaurito che lo colpisce. Di lì la notorietà, veloce e volatile come il diventare famoso per una questione di cronaca comporta. Ma questa manganellata inferta involontariamente, questo shock contribuisce a mettere Riko di fronte alla sua vita, e costringe lo stesso Riko a affrontare con la moglie la loro storia giunta apparentemente al capolinea. Di qui una svolta, la scelta di fare un nuovo viaggio di nozze, in Italia. La ricerca di quello che tutti dovremmo ricercare, la felicità, appunto”.
Un modo, questo, per raccontare la contemporaneità. Non quindi un voler cavalcare la rabbia che c’è, quella che fa guardare alla casta, si tratti della casta politica, di quella delle finanza, con odio. Ma una ricerca di introspezione, e volendo anche di una soluzione. “Serve che io faccia un passo indietro. Che guardi a quel che ho fatto in precedenza. Quando ho iniziato a scrivere, come tutti quelli che scrivono canzoni, ero presuntuoso. Alzavo la mano e dicevo, ascoltatemi, ho qualcosa di importante da dirvi. Lo faccio anche adesso, del resto. Ma allora ero un po’ meno consapevole della cosa. Cantavo Non è tempo per noi perché, figlio di questa terra in cui il comunismo aveva davvero attecchito, dando ottimi risultati tangibili per tutti, non mi riconoscevo negli anni Ottanta e in tutto quello che gli anni Ottanta hanno rappresentato. Lo facevo convinto che gli altri mi capissero.”
Così, in effetti, è stato. E questa è stata, possiamo dire, la prima fase, quella del noi collettivo.“Esatto. Sono stato presuntuoso, ho parlato usando un noi che neanche io avevo ben messo a fuoco e ho trovato il successo. Con Buon compleanno Elvis ho toccato un successo davvero difficile da gestire. Intendiamoci, nessuno perdona chi si lamenta del successo, e non intendo lamentarmene, ma ho capito sulla mia pelle che il successo non implica la felicità. Per questo ho scritto Miss Mondo, e ho scritto una canzone come Una vita da mediano”.
È di Una vita da mediano che Ligabue parlava all’inizio di questo articolo. Quella la canzone sbagliata, che faceva i conti con i suoi sensi di colpa catto-comunisti. “Miss Mondo è un album che affronta di petto il successo, il mio modo di provare a farci i conti, di metabolizzarlo. Dopo quell’album, fatto o conti con quel che mi stava capitando, ho cambiato prospettiva e ho cominciato a raccontare i cazzi miei, eccome. L’ho fatto perché ho grande rispetto per le canzoni, per le canzoni popolari, e penso che si debba sempre parlare di cose che si conoscono in prima persona. Come appunto i cazzi miei. Per questo oggi che canto la storia di un altro, Riko, e lo faccio in prima persona, interpretando un personaggio con una vita diversa dalla mia, mi sento un po’ strano. Ma forse Riko è il me stesso che sta vivendo la mia vita in un’altra dimensione, o forse è una parte di me che voleva venire fuori”.
Questa è in effetti una domanda che non ci possiamo non chiedere: come può cantare una storia così precisa, raccontandone non solo le sfumature sociali, ma anche quelle intime? Lui, in fondo, in un contesto anche di crisi rimane un privilegiato… “Da circa trentacinque anni con una ventina di amici prendiamo una casa in affitto in campagna, qui vicino. Un po’ il nostro Bar Mario dove però siamo i soli avventori. Ci sono un biliardo, un biliardino, e lì passiamo le serate nel fine settimane. Ognuno paga la stessa quota, sempre. Ci sono io, un paio di imprenditori, ma poi ci sono operai, camionisti, impiegati. Tutta gente con cui sono cresciuto, e che giustamente mi prende a calci nel culo, ma fa stare coi piedi per terra. Normale che la realtà del 2016, quella che per i miei privilegi potrei anche non conoscere, mi sia ben nota.”
Ok, quindi dopo i cazzi suoi Ligabue è passato a un noi collettivo, politico, penso a brani come Buona notte all’Italia, e stavolta a un Io politico, un Io che non coincide con lui. “G come Giungla, la canzone che hai criticato e non ti è piaciuta, è proprio la canzone della protesta, quella in cui si dice: ho creduto per tutta la vita in un sistema, e poi ho visto che quel sistema mi ha tradito, che le banche facevano solo i propri interessi, che le tasse che tutti devono pagare, e chi ha lo stipendio paga direttamente, è in realtà una gabella, perché c’è tanta gente che evade il fisco e per risolvere quel problema si fanno tagli sui benefici che andrebbero proprio a chi le tasse le paga. Insomma, discorsi che nella casa di campagna sento tutti i fine settimana, e che se vivi in provincia, questa provincia che per certi versi mi ha anche protetto, ma che mi ha tenuto a stretto contatto con la realtà, non puoi non conoscere. Riko, il protagonista di questo album, mi ha dato modo di raccontare questa storia, qualcosa che anche per me è risultata sorprendente, inaspettata.”
Made in Italy, a discapito di un primo singolo, G come Giungla, che continuo a trovare davvero brutto, è un album importante. Una piacevole sorpresa che riparte da un brano come Per sempre, contenuto in Mondovisione. In quel brano, fatto di ricordi, Ligabue raccontava in pochi versi un quadretto familiare capace di evocare un periodo difficile del passato, mettendo in campo sentimenti e altri tipi di difficoltà, “Mia madre che prepara la cena/ cantando Sanremo/ Carezza la testa a mio padre/ gli dice vedrai che ce la faremo”. Made in Italy aggiorna quei versi e attraverso la storia di Riko prova a raccontarci oggi.
di Claudia Rossi, Il Fatto Quotidiano