COME DIVENTARE GRANDI NONOSTANTE I GENITORI: «USATE L’IRONIA!»

COME DIVENTARE GRANDI NONOSTANTE I GENITORI: «USATE L’IRONIA!»

Un gruppo di adolescenti (quelli di Alex & co) con la passione per la musica. Una preside tremenda e dei genitori ossessivi che si mettono di traverso. È il soggetto di Come diventare grandi nonostante i genitori, nuovo progetto della Disney in sala il 24. Scritto dal regista dei film di Zalone. Che qui ha qualche consiglio da dispensare

come-diventare-grandi-giovanna-mezzogiornoPrendi alcuni dei protagonisti di una sit-com di successo (Alex and co.). Chiama due dei volti più amati del nostro cinema (Giovanna Mezzogiorno e Margherita Buy), una star internazionale (Matthew Modine, appena visto su Netflix in Stranger Things) e una squadra di brillanti(ssimi) caratteristi a supporto, da Paolo Calabrese a Ninni Bruschetta. Il regista di successo Luca Lucini e lo sceneggiatore italiano più redditizio del momento, Gennaro Nunziante, autore dei fortunati film di Checco Zalone (e non solo), faranno il resto. Il «resto» s’intitola Come diventare grandi nonostante i genitori e sarà nelle sale il 24 novembre. Si tratta di un progetto inedito e a tratti anche un po’ «anomalo» della Disney, un ibrido che mescola vari generi, dal musical canterino alla Zac Efron alla commedia italiana familiare, basata sul rapporto/contrasto figli e genitori. Il soggetto sono un gruppo di adolescenti con la passione per la musica, che, per inseguire il loro sogno pop, decidono di partecipare a un contest per band andando contro preside e genitori. Ne abbiamo parlato con Nunziante, che abbiamo riconosciuto anche in un brevissimo cameo all’interno del film.
Come ne La Febbre del 2005 l’hanno messa a fare il prete sull’altare.
«È vero, mi fanno fare sempre il prete! Si vede che emano una certa vocazione».
La vocazione per Disney invece com’è nata?
«Quando è arrivata la proposta io non conoscevo neanche la serie Alex and co. Ho telefonato a casa e mia figlia mi ha raccontato tutto. Alla fine mi ha detto: “Però papà rendili un po’ più intelligenti”».
È stato facile?
«Mi hanno chiesto di limitare il più possibile i danni, quindi ho fatto solo la sceneggiatura e Lucini ha sistemato il resto. Però mi sono divertito molto, è stato un codice narrativo nuovo per me».
Come si è barcamenato tra cinema, televisione, sentimenti Disney e musical?
«L’età dei protagonisti è quella dei miei figli, l’ho scritto pensando a loro».
Racconti.
«Mio figlio più grande ha diciassette anni, poi c’è una ragazza di sedici e un altro maschio di dodici. Insomma siamo in pieno delirio adolescenza».
Come se ne esce?
«Solo con l’ironia, altrimenti i ragazzi neanche ti ascoltano. A mia figlia ho detto: “A casa vieni sempre single”. Che è un modo più simpatico di dire “non portare a casa il fidanzato”».
Lei però è avvantaggiato. A ironia gli altri genitori come stanno messi?
«Male, e anche i professori. Sembrano una sorta di “organizzazione mondiale della salvezza umana”, tutti intenti a costruire una specie di supereroe fatto per avere successo. In giro tra i genitori c’è molta seriosità e poca serietà».
Non è stato sempre così?
«Oggi è peggio. Ai miei tempi se tornavi a casa con la sufficienza venivi guardato con rispetto: oggi se una volta un ragazzo prende meno degli altri, i genitori vanno a protestare. “Metti che mi rovina il 110 e lode e poi non può andare all’Università col numero chiuso?”. E magari il figlio fa ancora la scuola elementare».
Lei, Nunziante, è diventato grande «nonostante» o «grazie» ai suoi genitori?
«Ai miei genitori non glien’è mai importato niente di quello che sarebbe stato il mio futuro. Ed è stata la mia fortuna. Mi dicevano solo “Se ci credi tu, vai”».
Nel film c’è una coppia di genitori che spia il tablet del figlio. A lei è capitato?
«No. E quando vado a vedere le partite di calcetto di mio figlio mi metto sempre in ultima fila, in assoluto silenzio. E da lì assisto ai genitori impazziti a bordo campo: dei malati di mente che urlano, s’incazzano, dicono al figlio come deve giocare al posto del mister. Un delirio».
È questo delirio che ha voluto stigmatizzare nel film?
«Sì, la sfrenata competitività. La mia generazione era più un “noi”, si stava insieme, in gruppo. I ragazzi di oggi sono più individualisti. Del resto veniamo da anni in cui è stato spiegato soltanto l’ “io, io, io”. Che alla fine produce troppe solitudini».
Per questo in Come diventare grandi nonostante i genitori si parla di band e non di solisti.
«Esatto. La formazione individuale rischia di farti guardare il mondo attraverso la “cicero pro domo sua”, vedere tutto relazionato ai propri interessi e opportunità. Quand’ero ragazzino io e si giocava per strada, le mamme che si affacciavano dal balcone guardavano i figli di tutti, mica solo il suo e se l’altro si era fatto male non se ne fregava una mazza. Questo si è perso un po’ secondo me».
Anche i suoi ragazzi hanno velleità artistiche?
«Il più grande suona il pianoforte, il basso e la chitarra. È un fissato di Paul McCartney. Mia figlia canta e il piccolo gioca a calcio».
L’ultima volta che l’ho intervistata ha espresso il desiderio di ritirarsi a vita agreste a fare l’olio. Nel frattempo c’è stato un altro film «col botto» di Zalone. Scusi se mi permetto, ma quanto le manca?
«Mi manca ancora la sfida di fare un film internazionale, e infatti spero che anche questo film Disney possa avere un suo percorso fuori. Però l’albero dell’ulivo sta sempre lì ad aspettarmi e io agogno di raggiungerlo il più presto possibile».

Raffaella Serini, Vanity Fair

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