La nuova autobiografia e l’intervista al Corriere: «Ho chiuso con gli eccessi, nel mio futuro mi immagino regista. Le elezioni Usa? Mia moglie è americana, avevamo capito da tempo che avrebbe vinto Trump. I democratici e le star che gli sono andati contro non hanno capito nulla»
«Sono un nerd e un tamarro. Puoi portare via un tamarro da San Giuliano Milanese ma non puoi portare via San Giuliano Milanese da un tamarro». La tangenziale che separa dalla metropoli il paesone troppo cresciuto per effetto della grande migrazione degli anni 50 e 60 segna un confine che non è solo fisico. Vita di periferia, vita ai margini. La banlieue che ti segna e che ti insegna. A capire che nella vita ci sono gli sfigati e gli altri, quelli prepotenti e gli altri, quelli con i soldi e gli altri. Alessandro Aleotti poteva seguire la sorte di molti ragazzi cresciuti con lui e finiti a fare lavori non particolarmente esaltanti e a condurre vite di conseguenza. Ma la periferia ti spegne o ti accende. Nel suo caso, la seconda. Perché Alessandro poi è diventato JAx. E se in cuor suo si considera ancora una «forma imperfetta», lo «sfigato» di sempre incapace di togliersi la tamarraggine di dosso, la verità è che lui è uno «sfigato di successo». Non ha problemi a metterlo lui stesso nero su bianco, nella quarta di copertina della sua autobiografia («Imperfetta forma-Autobiografiax», Mondadori). Un libro che prende il posto delle canzoni, che non sempre bastano per raccontarsi fino in fondo. «Ma in realtà non è nient’altro che psicanalisi: la confusione della popolarità ti spinge anche a chiuderti in te stesso, a ritagliarti uno spazio che usi per raccontare la storia della tua vita, così, per restare con i piedi per terra e rimanere quello che eri».
Il libro si apre con una punchline, un pugno nello stomaco, con te nella villa di un diplomatico dell’Avana che stai per collassare vittima di un mix di maiale fritto e cocaina…
«Pensa che cocktail… Oggi non consumo altro che il contenuto della mia sigaretta elettronica che tra l’altro è più forte dell’altra cosa che assumo. Nel racconto ho voluto però saltare tutti i dettagli di quella parte di sesso droga e rock and roll che è così un cliché, perché dopo avere letto le biografie di alcune star americane come Nikki Sixx dei Motley Crue, quello che abbiamo fatto in Italia in realtà è roba da oratorio».
Ad un certo punto racconti di esserti stancato dei cantautori con la barba…
«In realtà mi sono stancato della deriva emozionale e romantica dei cantautori. Mi piacevano cantautori come Vasco, Rino Gaetano o Guccini perché erano ribelli. Ma quando io ero adolescente i cantautori avevano iniziato a cantare solo canzoni d’amore».
Però poi citi un cantautore, Bob Dylan, «il più grande poeta del Novecento» lo definisci, e lo citi perché lui cita te…
«Sì, nel film Masked and Anonimous scritto proprio da Dylan, ci sono due minuti della nostra canzone Come una pietra scalciata. In un’intervista, quando venne in Italia, gli chiesero se si ricordasse del maestro De Gregori autore di alcune cover di sue canzoni. E lui rispose di no ma aggiunse che invece si ricordava degli Articolo 31 che avevano fatto una versione rolling della sua Like a rolling stone. Ma a quel tempo la cosa non mi scaldava più di tanto. Non avevo ancora capito, a 20 anni, chi fosse Bob Dylan. Prima di incontrare il rap, ascoltavo solo musica pop. Tutta la musica figa, e quando dico figa intendo fighetta, l’ho scoperta dopo».
E ora Bob Dylan ha ricevuto il premo Nobel pe la letteratura…
«Ecco, non diciamo allora che ci ha citato che magari cambiano idea e glielo tolgono».
Tra le pagine citi anche Eminem, «l’unico che con Bob Marley non ha sbagliato mai». Una sua canzone, White America, era dissacrante nei confronti dell’establishment e del potere di allora ma forse torna di attualità anche oggi. Negli Usa molte star della musica e del cinema hanno preso posizione contro Trump. Ma sono rimaste deluse. Non hanno capito la società americana?
«Non hanno capito nulla. Conosco l’elettorato americano, mia moglie è americana, vado spesso negli Stati Uniti. Noi pensiamo sempre alle grandi città, dove la mentalità è stata molto diversa da quello che pensa il resto del paese. La crisi ha fatto molto male alla ex classe media. I motivi per cui Trump ha vinto sono tanti ma soprattutto la colpa è dei democratici che hanno scelto una candidata come Hillary Clinton palesemente collusa con le multinazionali e dentro la politica da sempre. La gente che soffre perché si vede il futuro negato ha voluto buttare una bomba a mano nel sistema. Non tanto per lui ma per quello che rappresentava il resto, la continuità della casta, l’impossibilità di essere ascoltati. Anche le manifestazioni di questi giorni credo siano fomentate dai democratici. Io non sono repubblicano. Ho idea di quello che stiamo rischiando. Ma hanno permesso ai mostri come Trump di proliferare e di diventare presidente degli Stati Uniti».
In Vorrei ma non posto ci hai un po’ giocato, ma quale è il tuo rapporto con i social network? Riesci ad interagire in prima persona con i tuoi fan?
«Sì, sono il mio primo feedback. Sono su Internet dal ’95 e riesco a capire anche il contesto dei commenti. So come affrontare le shit storm, le ondate di cattiveria gratuita che ti riversano addosso, me ne sono capitate un paio. Purtroppo c’è gente che c’è andata sotto, che si è tolta la vita. E’ una forma di bullismo. Noi personaggi pubblici con il bullismo online dobbiamo avere a che fare tutti i giorni. Nessuno si salva. Pensavo di essere uno dei più odiati ma guardando i profili degli altri scopro di essere invece uno dei più amati. Ormai Internet ha dato parola a tutti rendendo ormai quasi nullo lo spirito critico della rete perché dopo un po’ i commenti hanno il valore che hanno».
Tra l’altro tu il bullismo, quello vero, lo hai conosciuto veramente da adolescente.
«Sono stato innanzitutto un analfabeta sociale, ho iniziato a comportarmi da sfigato e sono stato poi di conseguenza etichettato come sfigato. Oggi però ringrazio quel periodo, grazie al quale ho ancora cose da dire e da scrivere. Avere vissuto l’emarginazione o essere additato come omosessuale, preso in giro e ghettizzato è stata una fortuna. Perché adesso capisco chi subisce queste cose. Prima di essere vincente e famoso io sono stato una vittima e oggi sono forte anche per questo, perché riesco a capire il punto di vista della vittima».
Nel libro citi anche alcuni episodi divertenti. E a un certo punto parli di come raccontare la storia dell’umanità grazie alla trilogia di Star Wars. Quindi se ti chiedessi chi è il più grande filosofo del 900 probabilmente mi risponderesti George Lucas…
«Probabilmente risponderei Han Solo. No, scherzo. Il più grande filosofo di tutti i tempi è Yoda».
Dici Yoda ma intanto, lo scrivi tu, eri catturato dal look dell’esercito imperiale…
«Si vestono meglio, da milanese subisco il fascino della moda. L’alleanza ribelle ha tutte le ragioni del mondo ma quelli dell’Impero, con tutta quella pelle nera, hanno uno stile incredibile. Sicuramente la parte oscura della forza ha degli stylist migliori».
Dopo quello che hai fatto nella tua vita e scritto una biografia l’ultima domanda è spontanea: e ora che succede?
«Ho fermato il mio progetto individuale e sto facendo per la prima volta un progetto a due, con Fedez. Fra poco esce il primo singolo (venerdì 18, in radio e in digitale, nda) e a gennaio un nuovo album. Dopo Il bello di essere brutti che ha avuto grande successo sarà una vera sfida fare un nuovo album solista. Ci siamo costruiti un nostro studio, uno dei migliori d’Italia. Faremo un tour e poi penserò ancora alle mie cose. Tra l’altro sto pensando anche di fare la regia di un film, non recitare perché non sono capace. Mi sta venendo la voglia pazza di fare qualcosa. Mi piacerebbe scusarmi del film brutto che ho fatto facendone uno bello. Ho capito che per sempre ora sarò come Lex Luthor che ha costruito il suo raggio laser e che nessuno può fermare».
Sempre un cattivo però…
«Diciamo allora l’Ax Luthor, un cattivo che poi si redime».
Corriere della Sera