SALVATORE ESPOSITO: LA MIA FORTUNA È STATA NASCERE PREPOTENTE

SALVATORE ESPOSITO: LA MIA FORTUNA È STATA NASCERE PREPOTENTE

L’attore che interpreta Genny Savastano si confessa: «Ho vissuto fra tanti delinquentima sono riuscito a difendermi grazie al mio carattere e al mio aspetto»

salavatore-esposito«Ho avuto la fortuna di nascere con un’indole prepotente». Mentre lo racconta, Salvatore Esposito nemmeno si rende conto che la sua frase potrebbe suonare un po’ strana. Ma se il destino ti fa crescere in un posto come la periferia nord di Napoli, succede anche che la prepotenza possa trasformarsi in virtù. Molto prima di diventare il cattivissimo della serie tv Gomorra, Esposito ne ha incontrati di Genny Savastano sulla sua strada… «Posti come quelli in cui sono nato non sono frequentati solo da brava gente. Che c’è, ma c’è anche tanta delinquenza. In zone abbandonate dalle istituzioni, in cui vige la legge della strada, essere prepotente è una fortuna».
Di momenti in cui «era tangibile la violenza», ce ne sono stati tanti per l’attore oggi 30enne. «Ma il mio carattere unito alla mia esuberanza fisica — che mi faceva sembrare più grande — mi ha sempre aiutato a difendere me e i miei amici». E’ passato qualche anno, Esposito non vive più a Napoli ed è protagonista di una delle serie (in onda su Sky) più di successo degli ultimi anni, ma il desiderio di dare una mano agli altri non l’ha lasciato. E’ anzi quello che lo ha spinto a scrivere il suo primo libro, Non volevo diventare un boss(Rizzoli). «Incontro tantissimi ragazzi e molti si sentono sconfitti in partenza. Con questo libro voglio dire loro che non è così, che non bisogna abbandonare i propri sogni ma lottare per realizzarli. A me è successo: oggi sono un attore».
Che fosse il suo sogno l’ha capito a sei anni, interpretando in un musical Fred Buscaglione. «La mia famiglia mi ha sempre sostenuto, pur non sapendo se ne valesse la pena». Con pochi soldi e questa consapevolezza si è trasferito a Roma: «Fino a 24 anni, mentre studiavo recitazione, lavoravo da McDonald’s. La sera facevo volantinaggio e il cameriere per un catering. Ci sono stati momenti di grande disagio». Due anni di provini, poi un giorno arriva la richiesta di lavorare ai casting della serie tv tratta dal libro di Saviano. «L’attore che veniva a fare il provino aveva delle battute e io, di volta in volta, ero la spalla. Inconsapevolmente, Stefano Sollima (il regista di Gomorra) e il suo staff mi avevano provinato per tutto il tempo e dopo dieci giorni mi hanno detto: perché non provi tu?». Mai avrebbe pensato al ruolo di Genny Savastano: «Mi sembrava il più distante da me, il meno adatto. Si trattava di un 18enne e io di anni ne avevo 27…». Non è stato un problema. Gomorra a Napoli (e non solo) è un cult. Eppure arrivano soprattutto da lì le critiche più feroci a Saviano. «Ho sempre ammirato lui e il suo sacrificio. Ha perso la sua libertà, è un eroe. Chi lo critica mi fa rabbrividire: non merita nemmeno una risposta».
Una risposta però la meritano tutti quelli che vedono nel suo personaggio una specie di mito. Non è un rischio? «Sarebbe troppo provinciale vederla così. Il successo non è di Genny. E nemmeno di Ciro o di Don Pietro: a loro le cose vanno malissimo. Non c’è niente da imparare da assassini e delinquenti». Sì, però la scorsa estate si erano fatti tutti la cresta come Genny. Nessuno quando la incontra ha un po’ di paura? «Un po’ di timore c’è. Specie dopo la prima serie, alcuni avevano il dubbio fossi anch’io un delinquente. Mi dicevano: volevo salutarti prima ma pensavo ti saresti arrabbiato. Succede quando una serie diventa tanto popolare». Tanto che a fargli i complimenti non sono solo sconosciuti: «Mi sono arrivati quelli di Maradona: una gioia enorme. Sono nato l’anno del suo primo scudetto col Napoli, a tre anni mi hanno fatto l’orecchino come lui. Per me è un Dio, non potevo crederci». Ma resta convinto che il problema non sia «il successo di Gomorra ma l’assenza dello Stato in certi luoghi. I ragazzi non mi chiedono come diventare Genny Savastano, ma come avere un futuro. Come diventare attori. Se con il mio libro convincerò anche solo tre di loro che i sogni si realizzano, per me sarà un grande risultato».

Corriere della Sera

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