URBAN STRANGERS: «NON C’È BISOGNO DI SEMBRARE SIMPATICI»

URBAN STRANGERS: «NON C’È BISOGNO DI SEMBRARE SIMPATICI»

urban-strangers_980x571Anticipato in radio dal singolo Bones, gli Urban Stranger tornano con Detachment dopo molti mesi dal loro primo album certificato oro e la partecipazione al talent di Sky che li aveva dati da subito come vincitori, solo che poi non avevano vinto. Nel disco 12 tracce, frutto di una ricerca sonora che risuona come una ventata di aria fresca: tanta elettronica, ma anche tanti strumenti, influenze internazionali fortemente percepibili, una sperimentazione creativa che rende questo lavoro incredibilmente internazionale, grazie anche alla lingua inglese che caratterizza la loro scrittura. Non è qualcosa che siamo abituati a sentire utlimamente nella discografia italiana, non ha etichetta. Se non quella di «Urban Stranger», l’unica che vogliono addosso.
Ritroviamo Gennaro Raia e Alessio Iodice come abbiamo imparato a conoscerli. Introspettivi, intelligenti, ora completamente concentrati sul lancio di questo nuovo lavoro. Che è quello da cui partiamo.
Che cosa troviamo in Detachment?
Gennaro: «Quello che siamo ora. Scriviamo sempre di quello che stiamo facendo, di quello che stiamo vivendo. Ci è venuto naturale scrivere quello che stavamo provando. Quest’album rappresenta la nostra evoulzione personale».
Alessio: «Grazie a Raffaele Ferrante, Rufus, il nostro produttore artistico che ha riarrangiato tutti i pezzi, siamo riusciti a dare forma ai nostri pensieri. Abbiamo potuto sperimentare tutto quello che abbiamo ascoltato in quest’ultimo periodo, abbiamo lavorato tantissimo, giorno e notte, senza fermarci».
Perché “distacco”?
Alessio: «Con tutto quello che ci è successo dopo X Factor abbiamo avuto bisogno di “creare un distacco”, di fermarci, per maturare pensieri. Non vuol dire che ci sia stato un momento negativo, ma avevamo attorno tanta confusione ed eravamo noi i primi a essere confusi. Abbiamo guardato con “da fuori” tutto quello che ci era successo e durante la composizione abbiamo capito molte cose».
Gennaro: «Non è stato solo un distacco fisico o emotivo. È stata una presa di coscienza, come un distacco psicologico da quello che eravamo, da quello che siamo».
È per questo che tornate dopo dieci mesi di lavoro in studio?
Alessio: «Non stavamo capendo quello che stava succedendo davvero. Abbiamo avuto bisogno di porci dubbi e le risposte sono arrivate dai testi e dalla musica»
Gennaro: «Ci siamo presi tempo perché a noi piace lavorare così, bene. Con calma, senza pensare a nient’altro che non sia la musica. Ci siamo chiusi lì dentro, non ci serviva parlare a vuoto».
È anche per questo che il vostro utilizzo dei Social Network è diverso da come li usano normalmente gli artisti, per promuoversi?
Gennaro: «Credo fortemente che anche la comunicazione e l’immagine siano una forma d’arte, anche per noi ovviamente non conta solo la musica, ma siamo due che si concentrano solo su quello. Siamo anti autopromozione. Non lo abbiamo mai fatto, non ci siamo mai fatti pubblicità. Non abbiamo mai detto a qualcuno “votaci”. Probabilmente diventa più difficile imporsi ma, secondo noi, è il modo più giusto. Uno ascolta, apprezza, ti segue. Oppure no. Ci impegniamo per essere apprezzati. Non cerchiamo di spingere la gente a crederci simpatici».
Alessio: «Probabilmente non lo siamo neanche». (ride, ndr)
Pensate che l’esperienza di X Factor vi abbia tolto qualcosa?
Alessio: «Non ci ha tolto niente, anzi, ci ha dato tantissimo. Abbiamo imparato molto, hanno iniziato a seguirci molte più persone, abbiamo imparato a interagire con i fan. Tutte situazioni che ci hanno aiutato anche nella composizione».
Gennaro: «Anche le situazioni difficili, che creano ansia».
Cos’è che vi crea ansia?
Gennaro: «A me la vita, costantemente. Stare sul palco, avere le persone che ti guardano mentre tu non riesci a guardare loro»
Nel brano So parlate di paura, di quanto può essere semplice ammettere di aver bisogno di qualcuno. Che cosa vi ha aiutato, di che cosa avevate bisogno?
Alessio: «Avevamo bisogno di qualcuno che ci dicesse come stavano davvero le cose e l’aiuto è arrivato dalle persone che lavorano con noi da sempre, Rufus per primo. Quando esci da un talent hai il cervello che va da tutte le parti. Avere qualcuno accanto che ti calma è fondamentale».
E, fuori dallo studio? Dov’è il vostro “distacco”?
Alessio: «Io per staccare spengo il cervello».
Gennaro: «Quando vogliamo sentirci persone “normali” ci chiudiamo in casa con i nostri amici. Con chi non fa la nostra vita. Anche solo uscire dallo studio ci fa stare bene. Io vivo lì, ho una camera lì dentro. Ci sto benissimo ed è casa mia, non è pesante. Ma ogni tanto devo scappare».
Non avete mai pensato di trasferirvi a Milano o Roma, per lavoro?
Gennaro: «Siamo molto legati al nostro paese, al posto in cui viviamo. Tutto è partito da Somma Vesuviana e finché c’è la possibilità di stare a casa propria, in un posto che ti da energia positiva, che non ti mette ansia, perché andarsene?».
E all’estero? Con un disco del genere non vi piacerebbe suonare fuori dall’Italia?
Gennaro: «Ci piacerebbe molto, anche per capire che cosa succede fuori, avere un riscontro, conoscere altri artisti, altre influenze musicali. Però questa è la prima volta che usciamo dallo studio dopo tanti mesi, è il primo respiro. Dobbiamo pensare al live e quando sarà pronto potremo portarlo ovunque».
Che tipo di live sarà?
Gennaro: «Saremo in quattro sul palco, con Rufus e un altro componente con noi da sempre, dell’etichetta Casa Lavica. Entrambi lavorano con noi da più di quattro anni».
Alessio: «Sarà tutto suonato. Siamo musicisti oltre a essere cantanti. Ci alterneremo a seconda degli strumenti da suonare».
Sul palco portete anche la vostra forte identità musicale. Pensate di aver completato la ricerca del vostro stile?
Alessio: «Ora abbiamo fatto questo e questo siamo ora. Non è detto che nel tempo non cambieremo forma e idee. Ci basiamo sulla ricerca personale, non è che decidiamo di far qualcosa di “nuovo” o diverso. Non ci confrontiamo con gli altri, pensiamo solo a migliorare».
Gennaro: ««I nostri pezzi rappresentano quello che siamo adesso. La nostra identità musicale siamo noi. Non serve un’etichetta, ci basta fare quello che ci piace. Siamo stati liberi di poter fare quello che volevamo».
E che cosa volete ora?
Gennaro: «Far capire alle persone chi siamo veramente».

Silvia Gianatti, Vanity Fair

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