La terza puntata di Audizioni vede sfilare sul palco la solita parata di «casi umani» (vedi alla voce cosplayer) ma anche numerosi, veri talenti. A cominciare dal gruppo delle Coraline, sorelle rock romane nipoti di Emanuela Orlandi
Da una parte la solita parata di casi umani, vedi alla voce «cosplayer specializzate in sirene» e rapper inneggianti a notti con escort, che dispensano perizomi ai giudici. Dall’altra una carrellata di talenti veri, dalla cantante che regala brividi con la chitarra portando un inedito anglo-portoghese, al gruppo di tre sorelle rock, all’anagrafe Rebecca, Elettra e Salomè.
Saranno proprio loro, le Coraline, le protagoniste della serata, e non solo per la bravura dimostrata sul palco cantando Shoots and ladders dei Korn. Le ragazze, infatti, come si vedrà nel video dietro le quinte (seguaci di Chi l’ha visto e non avranno senz’altro riconosciuto il loro papà Pietro), sono le nipoti di Emanuela Orlandi, la giovane romana scomparsa nel 1983 in circostanze mai appurate, protagonista di uno dei casi di cronaca nera (irrisolti) più noti del nostro Paese. La sua storia sarà oggetto anche del film La verità sta in cielo di Roberto Faenza, in uscita il 6 ottobre. Per loro, persino l’implacabile Manuel Agnelli è scattato in piedi, esclamando entusiasta: «Finalmente siete arrivate, siete voi il gruppo che stavo cercando».
Anche stavolta, il leader degli Afterhours ha vinto «a mani basse» la serata: ha elargito le sue impeccabili pillole di saggezza («in testa alle classifiche ci sono finite un sacco di cagate. Non voglio che ce ne finisca un’altra»), asfaltato con la sola forza della verità concorrenti allo sbaraglio («perché hai voluto distruggere questa canzone?»), promosso con giudizio – cioè senza pregiudizio – anche chi, lontano anni luce dal suo mondo, si è comunque dimostrato capace. Eccezion fatta per le due squinternate Les Fillettes, mandate avanti più per perversione che per altro. «Io non sto per credere alla mie parole», la frase cult antesignana di qualsiasi riconversione.
di Raffaella Serini, Vanity Fair