Uno dei miti di “90° minuto” racconta quando riuscì a ritrovare il tesoro della città e quando la camorra gli sparò. “I telecronisti oggi? Extraterrestri”
Luigi (detto Gigi) Necco è l’unico giornalista sportivo al mondo che nel curriculum possa vantare una gambizzazione camorristica e il ritrovamento di un tesoro che gli storici ritenevano ormai distrutto. Benvenuti al Gigi Necco Show che dovrebbe essere studiato nelle scuole di giornalismo come prova di attaccamento alla professione più bella del mondo. Tanto bella che ancora oggi, a 82 anni, Necco va in giro per Napoli con una telecamerina documentando i problemi della città e conducendo su un’emittente locale, Teleoggi Canale 9, il programma televisivo L’emigrante, cronaca quotidiana di fatti e misfatti. Un cordone ombelicale col capoluogo partenopeo mai spezzato; anzi, rinsaldato negli anni dall’amore per la squadra del ciuccio. Tanto che se ai napoletani tifosi della Smorfia dici «90», risponderanno di certo: «la Paura»; ma se dici 90° minuto, urleranno di sicuro: «Gigione Necco». Super Gigi è stato infatti dal ’78 al ’93 uno dei memorabili inviati della trasmissione più cult nella storia del calcio Rai. I devoti del San Paolo (inteso come stadio di Napoli) gli hanno sempre riconosciuto indipendenza e onestà di giudizio. Una stima che lui si è guadagnato sul campo. Arruffianarsi i potenti non era nelle sue corde. Non l’ha fatto neppure con Maradona. E forse per questo il pibe de oro preferiva farsi intervistare da Gianni Minà piuttosto che da un tipo simpaticamente tosto come Necco.
Tanto tosto da farsi addirittura sparare dalla camorra.
«Tre colpi di pistola alle gambe, all’uscita di un ristorante a Mercogliano, feudo del presidente dell’Avellino, Antonio Sibilia».
Una punizione a mano armata per avere parlato male dell’Avellino?
«No, tutta colpa di un bacio e una medaglia d’oro».
Il mistero si infittisce.
«Correva l’anno 1981. E correvano anche le mazzette per il calcio scommesse e gli appalti per la ricostruzione del post terremoto in Irpinia. Io seguivo quel filone. E feci vari servizi su soldi sporchi e società di calcio, Avellino in testa».
Fallo da espulsione…
«In una pausa del processo a Raffaele Cutolo, capo della Nco (Nuova camorra organizzata), Sibilia andò a baciare ‘o professore, facendogli consegnare dal calciatore più prestigioso della sua squadra, il brasiliano Juary, una medaglia d’oro con scritto A don Raffaele Cutolo, con stima. Io, che avevo assistito alla scena, riferii tutto in tv durante 90° minuto. Valenti rimase a bocca aperta e così tutti gli italiani».
E poi cosa avvenne?
«Fu chiesto a Cutolo se, a seguito del mio sgarro, poteva farmi sparare».
Don Raffaele cosa rispose?
«Disse: I giornalisti non si toccano. Aggiungendo: E Necco mi è pure simpatico».
Allora com’è che l’hanno gambizzata lo stesso.
«Fu un’iniziativa di ‘o Nirone».
‘O Nirone?
«Era il soprannome di Enzo Casillo, un luogotenente di Cutolo. Per guadagnare visibilità organizzò l’agguato. E dopo gli spari i sicari scrissero sulla mia auto: tu vuliv fa o criticone?».
Tutto è bene ciò che finisce bene. Torniamo agli esordi di quel fatidico 90° minuto. Che Italia era quella?
«Era un Paese ancora in bianco e nero che scavallava gli anni ’70, rincorrendo un pallone che il fischio d’inizio dell’arbitro faceva muovere su tutti i campi inderogabilmente alla stessa ora e rigorosamente solo di domenica. Altro che il campionato spezzatino di oggi…».
Lei fu l’inventore dei primi «scugnizzi ultrà».
«Alla fine delle partite non avevo neppure il tempo di andare in redazione. Rimanevo a montare il servizio nel gabbiotto dello stadio circondato dai ragazzini che, al termine del collegamento con Valenti urlavano assatanati “forza Napoliiii”».
Durante la trasmissione le scene imbarazzanti si sprecavano.
«Eravamo tutti dei pupazzi nelle mani Paolo. Lui ci dirigeva dosando saggiamente bastone e carota».
C’era un clima goliardia?
«Io, ad esempio, amavo punzecchiare sempre il collega Gianni Vasino».
Con un cognome come Vasino, si vinceva facile.
«Vasino era, ed è, un amico. Si trattava solo di un semplice sfottò campanilistico. Lui seguiva Milan e Inter, le odiate lombarde. Mi piaceva stuzzicare pure Cesare Castellotti collegato da Torino per l’altrettanto odiata Juventus».
Valenti stava sempre al gioco?
«Una volta sbottò e ci fece in diretta una lavata di testa: Necco, Vasino e Castellotti, se dovete litigare, telefonatevi».
A proposito di Valenti, ma lui per quale squadra tifava?
«Nessuno lo ha mai saputo. Dai suoi commenti non traspariva nulla. Ma alla fine scoprii che teneva per la Fiorentina. Me lo rivelò, segretamente, il collega Marcello Giannini che per Novantesimo seguiva i viola».
Già, Marcello Giannini, i suoi soprannomi erano «Il mostro di Firenze» e «Macello Giannini»…
«A quei tempi eravamo popolarissimi. A ognuno di noi appioppavano dei nomignoli. Ma la gente ci amava nonostante le nostre innumerevoli gaffe, anzi soprattutto per quelle».
I più pittoreschi erano gli inviati delle squadre di provincia: Tonino Carino da Ascoli, Giorgio Bubba da Genova, Franco Strippoli da Bari, Fedele La Sorsa da Campobasso, Claudio Cojutti da Udine, Luigi Tripisciano da Palermo, Luigi Coppola da Cagliari…
«Tra noi c’era anche un fuoriclasse come Beppe Viola».
E Giampiero Galeazzi.
«Grande Galeazzi. A quell’epoca era ancora magro. Ma si capiva che sarebbe diventato un bisteccone».
Sembravate i personaggi del bar alieno di Guerre spaziali. Gli italiani se la ridevano, tifando per i propri «mostri» di fiducia.
«Ma i veri extraterrestri sono i telecronisti di oggi. Noi parlavamo semplice. Senza star lì a menarla troppo con pistolotti tecnico-tattico-statistici. Adesso c’è forse maggiore preparazione, ma meno capacità di mettere nei servizi anima e passione».
Nel corso delle sue telecronache ha coniato espressioni leggendarie.
«La più conosciuta resta Milano chiama, Napoli risponde in occasione di uno storico 4 a 3 per i partenopei».
Altra battuta famosa a Città del Messico nel 1986, quando Maradona segnò un goal con la mano all’Inghilterra.
«Gli chiesi: Il gol l’ha fatto la mano de Dios o la cabeza de Maradona?. E lui rispose: Las dos (tutti e due)».
Per un Napoli-Parma la metafora fu invece gastronomico-spaghettara.
«Il Napoli vinse e io commentai: Clamoroso: il parmigiano sotto. E il pomodoro sopra».
Nel 2005 passò a Canale 5 per curare le dirette dai campi di calcio.
«Conservo un ricordo bello di Berlusconi. Quando il Milan vinceva tutto, lo incontrai in tribuna a San Siro acclamato dalla folla. Gli dissi: Cavaliere, lei dovrebbe darsi alla politica. E lui replicò: Io in politica? Mai!».
Parliamo del suo secondo grande amore dopo il giornalismo: l’archeologia. Ma è vero che ha scoperto un tesoro antico?
«È vero. Il tesoro l’ho scoperto. Ma per farlo ho dilapidato i risparmi di una vita. Pensi che vivo ancora in un appartamentino in affitto».
Ci racconti i dettagli.
«Inseguendo un sogno giovanile di quando frequentavo l’università l’Orientale di Napoli, mi sono sempre dedicato alla ricerca del tesoro che Heinrich Schliemann aveva trovato a Troia nel 1873 e che ufficialmente i tedeschi davano per distrutto nei bombardamenti di Berlino del 1945».
Prosegua.
«La tesi ufficiale non mi ha mai convinto. Mi sono messo a studiare e a viaggiare come un pazzo senza badare a spese, ma alla fine ce l’ho fatta. Sono riuscito a individuare i ladri e il nascondiglio del tesoro, che è stato finalmente esposto il 16 aprile 1996 nel Museo Pukin delle belle arti di Mosca».
Necco versione Indiana Jones. Ma anche scrittore e filosofo. Non a caso c’è chi la paragona al Luciano De Crescenzo.
«Per me è un onore. De Crescenzo è un grande napoletano. Anche se non vorrei fare la sua fine».
E che fine ha fatto De Crescenzo?
«Renzo Arbore lo sfotte sempre chiedendogli: Luciano, ma alla tua età ti piacciono ancora le femmine?. E lui sa cosa risponde?».
Dica.
«Sì, mi piacciono. Ma non mi ricordo più perché».
Il Giornale