SPACCHI HOT A VENEZIA

SPACCHI HOT A VENEZIA

A esibirli sono Giulia Salemi e Dayane Mello sul red carpet di The Young Pope. Più che profondi, ombelicali. Così estremi da farci persino osare di contraddire Oscar Wilde…

giulia salemi e dayane melloIn principio fu Belen Rodriguez, la grande madre di tutti gli spacchi mozzafiato. Ricordiamo bene una storia di abiti sexy, di farfalline inguinali, di dibattiti interminabili sulla presenza o meno di biancheria intima di ultima generazione. Il tutto sul palco di Sanremo nel 2012, dove l’apparizione della showgirl argentina in un indimenticabile abito azzurro e rosa sancì la definitiva affermazione di Fausto Puglisi, lo stilista ideatore dell’iconico dress dal chilometrico spacco che a tanti dibattiti ha dato il via.
Presto la moda di esibire sul tappeto rosso sempre più centimetri di pelle inguinale è deflagrata – e forse degenerata – pericolosamente. Fino ad arrivare, addirittura, sul più prestigioso dei red carpet, quello del Festival del cinema di Cannes. Dove, solo pochi mesi fa, la lanciatissima modella Bella Hadid ha dato scandalo in una memorabile comparsata, appena fasciata nei punti giusti (forse nemmeno tutti) da un abito di seta rossa firmato Alexandre Vauthier.
Ora lo “scandalo” si ripete – al quadrato – alla Mostra del Cinema di Venezia. Dove, solo ieri sera, a catturare l’attenzione nemmeno troppo morbosa dei fotografi sul red carpet della proiezione di The Young Pope di Paolo Sorrentino sono state Giulia Salemi e Dayane Mello. Ovvero la persiana della scorsa edizione di Pechino Express e la modella brasiliana di un paio di Ballando con le stelle fa.
La prima in un arancio acceso, la seconda in rosa shocking con cinturone silver. Ma a shockare sono stati più che altro i loro vertiginosi spacchi. Profondi suppergiù fino all’ombelico. Arrivate a braccetto dello stilista Matteo Evandro Manzini, le due si sono sperticate in una serie di contorsionistici volteggi, con l’evidente e un po’ goffo scopo di esibire l’esibibile. E di buttare benzina sul fuoco.
Una provocazione ormai più noiosa che sorprendente, davanti alla quale ci chiediamo: serve ancora, davvero? Evidentemente sì, se lo scopo era di far parlare. Noi stessi lo stiamo facendo. Chiamiamolo dovere di cronaca. Ma, per una volta, fateci dissentire da Oscar Wilde: bene o male purché se ne parli? Anche no, date retta a noi.

Federico Rocca, Vanity Fair

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