FREDDIE MERCURY, 70 ANNI DA DIVO. LA STAR CHE VOLEVA ANDARE ALL’INFERNO

FREDDIE MERCURY, 70 ANNI DA DIVO. LA STAR CHE VOLEVA ANDARE ALL’INFERNO

A venticinque anni dalla sua morte, il leader dei Queen è ancora un’icona amatissima. “La musica – diceva – deve andare ben oltre l’immagine”

freddie mercuryMonaco, luglio 1984. Conferenza stampa per il tour europeo dei Queen. Un cronista domanda cosa farà la band nei prossimi venti anni. Risponde Freddie Mercury: “Cosa? Cosa farò io nel prossimo ventennio? Ma io sarò morto, tesoro!”. Il 5 settembre 2016, Freddie Mercury avrebbe compiuto 70 anni ma la sua sarcastica profezia si è rivelata esatta: è morto la sera del 24 novembre 1991 nella sua sontuosa dimora di Logan Place, a Kensington, nel cuore di Londra.
Aveva 45 anni, Mercury, e non riusciva a vedersi invecchiato. O forse, fino al momento in cui ha saputo della malattia, s’è sentito immortale. Della sua importanza nella storia del rock, delle sue contraddizioni, del suo fragoroso talento, della sociologia che ha accompagnato l’era dei Queen si è detto ormai tutto. Restano i mille riflessi del suo specchio magico, la sua natura in fondo misteriosa, l’esasperato professionismo che ne ha caratterizzato tutta la carriera e che era sembrata molto chiaro fin dagli esordi: “La nostra musica dovrebbe andare ben oltre l’immagine – disse nel 1973 – perché ci concentreremo sempre e comunque sull’obiettivo di far uscire un buon prodotto”.
Nato a Zanzibar e seguace di Zoroastro, molto portato per lo sport, innamorato delle cravatte che non ha mai indossato (ne aveva però collezionato un numero enorme), appassionato di arte e in particolare di Chagall, schivo fuori dal palco ma capace di spendere migliaia di sterline in poche ore, Mercury aveva un’idea molto precisa del suo ruolo di artista. A chi gli chiedeva se la musica poteva cambiare il mondo aveva risposto: “Questo lasciamolo fare ai politici. Ci sono artisti che possono fare questo genere di cose, ma sono pochissimi. Uno è John Lennon. Ma devi avere una buona dose di intelligenza e insieme di magia, e i tipi come John Lennon sono rari. Verso il pubblico ho la responsabilità di fare un bello spettacolo. Gli spettatori devono stare sicuri di avere un intrattenimento bello e potente. E questo è tutto”.
Mercury ammirava Jimi Hendrix, Aretha Franklin, David Bowie e i Led Zeppelin. Era quasi ossessionato dalla soprano Montserrat Caballè. Quando doveva registrare con lei i brani dell’album Barcelona fece rifare tutti i bagni delle donne nello studio di registrazione nel timore che la cantante potesse essere scontenta dell’ospitalità. Poteva restare solo nella sua casa per settimane, salvo poi invitare all’improvviso ospiti e amici per stupirli indossando vestiti e costumi vistosi ed eccentrici. Cercava in ogni modo di proteggere la sua voce, al punto che per paura di alterarla non volle mai sistemare la sua dentatura sporgente. Ma certi deliri di onnipotenza, che caratterizzarono soprattutto gli anni degli esordi (si racconta di orge con ragazze nude che uscivano da vasche da bagno piene di fegatini crudi), finirono stemperati in una sana consapevolezza del proprio ruolo di artista e della sensazione di potenza che si prova sul palco: “In mani meno sensibili – disse nel 1981 – questa potenza potrebbe essere pericolosa. Se volessi, potrei spingere il pubblico a sfasciare tutto, ma questa è un’eventualità molto remota, perché tutto è sempre all’insegna dell’ironia. Mi piace che ridano di me. Non prendo mai niente troppo sul serio: lo dimostrano gli abiti che indosso in scena. E’ puro kitsch”.
Al di là delle immortali canzoni e della magnificenza del suo essere star, una delle lezioni che Mercury ha lasciato ai suoi milioni di seguaci è la capacità di distinguere l’uomo dal personaggio: “L’ultima cosa che vorrei fare è dare alla gente un’idea esatta di chi sono…quello che faccia esprime alla perfezione il mio carattere. Però credo che sua l’idea mistica, non il fatto di sapere la verità su qualcuno, a essere davvero attraente”.
Diceva di non aver mai scelto la sua immagine, ma di essere semplicemente quello che era. Riteneva inevitabile la maestosità dei suoi show (“Potrebbe mai un band in jeans cantare Bohemian rhapsody ed essere credibile?”) ma non ha mai calato davvero la maschera. Ha annunciato la sua malattia il giorno prima di morire, dopo averla tenuta nascosta a lungo. Quando gli avevano chiesto se pensasse di andare in Paradiso aveva risposto: “L’Inferno è molto meglio. Guarda quante persone interessanti si possono incontrare laggiù! Se devo andare da qualche parte, meglio là”.

Andrea Silenzi, La Repubblica

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