L’attrice torna sul grande schermo con ‘La famiglia Fang’, in sala dal 1° settembre di cui è anche produttrice: “Recito la parte di una donna vera che ha fatto tanti errori”
“Mi piace il cinema che racconta le vite sbagliate, cerco storie sgradevoli “. L’accanita lettrice Nicole Kidman le pesca dai romanzi che poi trasforma, da attrice e ora anche produttrice, in film che vorrebbe lontani dagli stereotipi di Hollywood. Ha letto, appassionandosi, la saga dell’Amica geniale di Elena Ferrante. La sua ultima creatura è La famiglia Fang, diretto e co-interpretato da Jason Bateman, in sala il primo settembre. “Ho letto il romanzo di Kevin Wilson, che vive in Tennessee come me, e l’ho chiamato: ‘Mi permetti di trasformarlo in un bel film?'”.
Nicole Kidman si è ritagliata la parte di un’attrice alcolista con una carriera costellata di errori sul set e fuori, “una donna reale, che sbaglia ed è autolesionista, ma che cerca di sopravvivere”. Condivide disagio e fallimento con il fratello scrittore Jason Bateman. Dietro la loro condizione c’è un’infanzia spesa al servizio dei genitori, performer estremi d’arte contemporanea. Ruoli per i quali sono stati arruolati Christopher Walken e Maryana Plunkett.
Il personaggio di Walken nel film dice che i figli uccidono l’arte.
“Non la penso così. Sono una donna, ho valori diversi. Penso al contrario che i figli potenzino l’arte. Nella mia vita la maternità è stata uno spartiacque preciso. Allevare i propri figli è un dono”.
Leggendo il libro si è interrogata sul rapporto che lei ha avuto con i suoi genitori e su quello che ha con i suoi figli?
“Sono cresciuta in una famiglia molto unita e ne ho costruita una simile con mio marito e i miei figli. Siamo un enorme clan, facciamo tutto insieme. Con mia sorella siamo legatissime, lei ha sei figli e passiamo insieme ogni festa. Sono appena tornata dall’Australia dove mia nipote è vissuta con me un mese. E mia figlia è ora ospite di mia sorella. Questa rete di sentimenti familiari allarga la vita emotiva, e arricchisce l’arte”.
Sul fronte artistico lei si descrive come una “wild card”, un jolly.
“Assolutamente. Sono imprevedibile. Al confine tra audacia e incoscienza. Non ragiono, non l’ho mai fatto, in termini di traiettoria di carriera. Mi faccio guidare solo dall’istinto e pago volentieri il prezzo dei miei errori. Ora girerò con il regista greco Yorgo Lanthimos il film Killing of a sacred deer. A Hollywood mi hanno detto “ma sei matta?”. Io invece lo trovo un genio e non ho paura di mettermi in gioco. Eccomi pronta per una altro personaggio da Jolly. Poi lavorerò con Sofia Coppola. Ormai mi interessano registi con una forte visione personale, storie diverse dagli stereotipi del cinema commerciale. Disordinate come la vita, come quelle che racconta la vostra Elena Ferrante”.
Ha letto L’amica geniale?
“Tutti e quattro i libri. Elena Ferrante è straordinaria, chiunque lei, o lui, sia. Mi sembra abbia un punto di vista molto femminile, sincero e audace. Mi piace anche che abbia voluto proteggere la propria identità, scelta che le consente un racconto più onesto e profondo. È stata Jane Campion che mi ha energicamente esortato a leggere i suoi libri”.
La regista che l’ha “scoperta” alla scuola di recitazione quando lei aveva quattordici anni.
“Da allora è una delle mie migliori amiche. Da lettrici accanite ci scambiamo titoli, ci consigliamo autori. La mia passione sono i testi sulla ricerca della propria identità, quelli che parlano d’amore. Prima m’interessava soprattutto l’amore romantico, ora qualunque espressione amorosa, tra sorelle, figlie, madri, amici. Mi interessa capire come amiamo, cosa nutre l’amore, cosa lo soffoca”.
Che direbbe alla 14enne piena di ricci che voleva fare l’attrice?
“Di essere se stessa, anche se è dura. Ho appena girato con Jane Campion un ruolo che ha scritto per me nella seconda stagione di Top of the lake. Abbiamo ricordato il nostro primo incontro. Io le chiedevo consiglio su come essere, cosa pensare. Lei rispose “sii una poesia, la tua poesia”, sapendo che siamo tutti fatti di luci e ombre. La poesia è una cosa straordinaria e reale. Ci porta a sorprenderci di noi stessi, arrivando più vicini alla verità di ciò che siamo”.
Lei ha mai pensato di scrivere?
“Scrivo fin da ragazzina. Dai quattordici ai ventiquattro anni ho riempito diari che poi ho distrutto: ero così brutalmente onesta, in quei pensieri, che se qualcuno li avesse letti pensavo sarei morta. Rimpiango di averli bruciati. Vorrei poterli rileggere, a quest’età potrei capire quella ragazzina e i suoi sconvolgimenti. Sensazioni normali, ma che allora mi sembravano insostenibilmente intense e vergognose. Oggi scrivo storie, butto giù idee, contribuisco ai miei dialoghi. Vorrei il tempo di sviluppare una sceneggiatura mia, magari per trasformarla in un corto”.
Da produttrice e attrice lavora con Reese Witherspoon a una serie al femminile dal romanzo Big little lies.
“Mi piace lavorare con le donne, ma prima di tutto mi piace trovare le storie giuste. Da anni m’impegno con l’UN Women per il sostegno delle donne nella cultura e nell’industria. E credo nella sorellanza. L’ho imparato avendo una madre femminista, che negli anni Sessanta ha lottato per i nostri diritti e si è sempre impegnata nel sociale. Ora che invecchiano lei e le sue amiche sono diventata una comunità di aiuto reciproco. Siamo sorelle nel mondo, dobbiamo sostenerci e non distruggerci o sabotarci le une con le altre”.
Da tempo dichiara che lavorerebbe con un regista italiano.
“Sto ancora aspettando la proposta. Con il vostro paese ho un rapporto speciale. Ho girato il mio primo film, Un’australiana a Roma, mi ha permesso di vivere qualche mese a Roma, avevo 17 anni e pochi soldi. Ed ero già venuta per un viaggio romantico con il mio primo fidanzato. Mi sento affine alla vostra cultura, al senso della famiglia. Mi piace il calore, l’umorismo, la vitalità. Perciò vengo in Italia da decenni. Non ho sposato un italiano, avrei voluto ma non è successo, perciò mi considero fidanzata con l’intero Paese”.
Repubblica