SCARPATI TORNA «MEDICO IN FAMIGLIA»: SUL SET I DIFFICILI RAPPORTI CON 6 FIGLI

SCARPATI TORNA «MEDICO IN FAMIGLIA»: SUL SET I DIFFICILI RAPPORTI CON 6 FIGLI

L’attore, assente nell’ultima stagione della serie: «Voglio tornare all’origine del mio personaggio, medico capace di ascoltare. Ma anche papà 60enne, messo a dura prova»

lino banfi un medico in famiglia«Il pubblico ormai è abituato: Lele ogni tanto ritorna». E dopo un paio d’anni d’assenza, Giulio Scarpati riappare nei panni di «Un medico in famiglia» decima serie. «Stavolta sono stato convinto dall’idea molto forte degli sceneggiatori. Lele Martini è ormai un uomo di mezza età e si trova in grosse difficoltà nel rapporto con i figli. In questo momento storico in cui molti genitori hanno problemi educativi e non si sentono adeguati al ruolo, mi è sembrato un tema interessante e ricco di sfumature». In effetti il personaggio di figli ne ha una caterva: l’ultimo nato, dall’unione con la cioccolataia Bianca (Francesca Cavallini), è Carletto, 4 anni, ma prima di lui ci sono Maria, Ciccio e Annuccia (dai 30 ai 20 anni), nati dalla prima moglie di cui è rimasto vedovo, e i due gemelli Bobò ed Elena adolescenti, avuti con la seconda moglie Alice (Claudia Pandolfi) da cui si è separato.
«Praticamente sono presenti tutte le generazioni, quindi i problemi si declinano nelle varie tappe della crescita. La famiglia Martini — commenta divertito Scarpati — non conosce la contraccezione e sforna figli in quantità industriale, perché anche i miei figli fanno tanti figli, in controtendenza rispetto alla realtà attuale dove la prole si fa col contagocce. Siamo una famiglia ottimista». La fiction in 13 puntate, prodotta da Publispei e Rai Fiction, in onda su Raiuno dal 7 settembre, ha come sempre protagonista Lino Banfi-Nonno Libero, con Milena Vukotic-Nonna Enrica. «Voglio tornare all’origine del mio personaggio — continua Scarpati — e cioè un medico di base che coltiva un rapporto proficuo con i suoi pazienti perché è capace di ascoltare le persone. Ma sul piano privato, siccome ormai è un signore sessantenne, è messo a dura prova con i figli più piccoli e deve mantenere i nervi saldi. D’altro canto, non può più appoggiarsi molto su Nonno Libero, altrettanto anziano, non può più lasciare sulle sue spalle il peso dell’intera famiglia ed è per questo che Lele ritorna a casa».
Il problema del rapporto padre-figli è al centro anche del film che Scarpati si accinge a girare, diretto da Pupi Avati: «Il titolo provvisorio è “Il ragazzo sul drone d’argento. Il fulgore di Dony” — anticipa l’attore —. Qui sono il padre di Donata, una giovane poco più che adolescente. È la storia di un sacrificio, quello che questa ragazza compie per il suo più caro amico coetaneo, Marco: lui ha un grave incidente e lei decide di dedicargli la sua vita, la sua giovinezza. La parola sacrificio l’abbiamo dimenticata, oggi vogliamo tutto facile e subito. L’idea di sacrificarsi per gli altri non rientra nei nostri obiettivi».
E il padre di Donata come si colloca in questa vicenda? «Molto male, perché sono un tipo che punta sempre a obiettivi ben precisi, tanto più per sua figlia che è bravissima a scuola, è molto dotata e ha creato in lui grandi aspettative. Quando la vedo interamente dedita al suo amico, non la capisco, non l’accetto, mi pare sprecata, interpreto il suo gesto di profonda generosità come se buttasse via le sue enormi potenzialità. Non vedo il suo sacrificio come valore positivo, ma negativo, perché compromette il suo futuro in nome dell’amicizia». Per Scarpati è la prima volta con Avati: «Ci siamo conosciuti quando Pupi realizzò il film Una sconfinata giovinezza sul tema dell’Alzheimer, su cui io ho poi pubblicato il libro “Ti ricordi la Casa rossa?” dove racconto la malattia di mia madre. Da allora abbiamo spesso pensato di fare un progetto insieme. E stavolta è capitato sul tema dei figli».
Scarpati ne ha due: Edoardo e Lucia, di 28 e 21 anni. «Quello di genitore è un mestiere difficile: siamo pieni di paure e tendiamo a caricare i ragazzi delle nostre ansie, li mettiamo continuamente in guardia, senza renderci conto che in loro creiamo sfiducia nel futuro. Nel corso della mia carriera mi è capitato spesso di anticipare nella finzione scenica dei problemi che poi ho dovuto affrontare nella vita vera».

Corriere della Sera

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