UNA SERIE TV PER MORETTI. MA CARO NANNI AUTORIALITÀ NON FA RIMA CON SERIALITÀ

UNA SERIE TV PER MORETTI. MA CARO NANNI AUTORIALITÀ NON FA RIMA CON SERIALITÀ

“Mi spaventano i tempi serrati, però non escludo assolutamente la possibilità di farlo. Sia come regista, che come attore” ha detto il regista. La serialità tv in Italia ha sempre meno legami con l’autorialità cinematografica coeva e parallela, figuriamoci quando si va a ciurlare nel manico delle generazioni over 60 (quale oramai Nanni appartiene anche solo al pelo). Sempre che non sia la volta buona che si realizzi il tanto agognato musical sul pasticcere trotskista

nanni-morettiNanni di’ qualcosa di sinistra, Nanni di’ qualcosa. E Nanni Moretti finalmente l’ha detta. Gli piacerebbe girare una serie tv. Non sappiamo se la cosa che ha detto sia di sinistra, ma siamo sicuri che un nuovo capitolo commerciale nella carriera del regista di Caro Diario potrà cominciare a crearsi. Entusiasmo e vivacità, per come l’ha riportato la cronista de Il Messaggero che ha agguantato Nanni al T-Mobile New Horizons di Breslavia dove stavano mostrando tutti i suoi film, non sembrano essere le doti principali di uno dei registi più amati in Italia. Il tono è come sempre sommesso. La risposta nel concreto è sfuggente e ammantata di ritrosia e negatività. “Sì, solo che da quello che mi dicono i registi che lo hanno fatto, le serie hanno ritmi che non sono miei, molto frenetici. (…) Mi spaventano i tempi serrati, però non escludo assolutamente la possibilità di farlo. Sia come regista, che come attore”, racconta al quotidiano romano. Se non è un ponte, un’apertura a 360 gradi questa, ditecelo voi.
E sarebbe davvero uno di quei cataclismi prima di tutto culturali che riaprono l’eterna discussione sul futuro del cinema affiancato e superato dalla tv. Se in Italia lo sceneggiato tv negli anni ’70, e addirittura fino agli ’80 se pensiamo al Cristoforo Colombo di Alberto Lattuada, offriva possibilità di rilettura e riproposizione di testi letterari classici italiani e stranieri come di figure storiche da raccontare a chi le conosceva poco, oggi il lato pedagogico da produzione Rai non esiste nemmeno più in cartolina. Quindi si tratta di puro e semplice business. Con un target preciso, che comunque si interseca con il consumatore di sport, film e perché no reality. Con Sky che in questa miscela da supermarket permanente del gusto e dei generi è ineguagliabile.
Non sappiamo però ancora se Nanni Moretti dovrà prima avere l’ispirazione, lavorare con la sua scrittura minuta ad ogni riga di sceneggiatura. Il punto è però proprio che, come dice lui nella risposta data al Messaggero, le serie sono qualcosa di piuttosto differente dal film che finisce su grande schermo. E la differenza sta tutta in una parola che gli adoratori della dipendenza da episodio ascoltano sempre stupefatti come di fronte ad un’esclamazione in uzbeko: autorialità. Già perché Nanni Moretti, che lo si ami o lo si odi, è un autore. E l’autore è un artista/creatore che vive di personalissime idiosincrasie, vezzi, virtù, difetti e manie, irriducibilmente non riconducibili a contenitori predisposti. Attenzione, non siamo qui a criticare la nuova, seppur ancora acerba produzione di serie tv italiana che ha fornito lavori come Gomorra, 1992, o In Treatment. Siamo però qui a sottolineare un dato di fatto: Stefano Sollima (in subordine Francesca Comencini, Claudio Cupellini, e Claudio Giovannesi), Giuseppe Gagliardi e Saverio Costanzo non hanno portato la loro individualità autoriale (Costanzo è quello che l’aveva più marcata stilisticamente) in un lavoro sostanzialmente preparato produttivamente a tavolino e messo in mano ai “registi” come si faceva nella Hollywood classica degli anni ’40 o ’50 (da cui un “autore” come Orson Welles, per dirne uno, venne cacciato a pedate).
Semmai, ma apriamo una parentesi infinita che non vogliamo aprire, i veri “autori” delle serie, quelli che riempiono di senso trame infinite, probabilmente lavorando anche su pause e atmosfere (1992 deve avere i “vuoti” già in sceneggiatura) sono gli sceneggiatori. Su tutti citiamo il trio Stefano Sardo/Ludovica Rampoldi/Alessandro Fabbri. Ecco, per dire, il “pirata” piemontesissimo e ultramoderno Sardo ce lo vediamo a fatica anche solo a discutere su come si ordina un caffè e lo si beve alla baracchina con Moretti. Per carità, è un gioco, si fa per parlare, sia mai. Quello che dico, in aggiunta, e concludo, è anche di questa differenza anagrafica che obiettivamente coinvolge forma e contenuto del prodotto serie. La serialità tv in Italia ha sempre meno legami con l’autorialità cinematografica coeva e parallela, figuriamoci quando si va a ciurlare nel manico delle generazioni over 60 (quale oramai Nanni appartiene anche solo al pelo). Sempre che non sia la volta buona che si realizzi il tanto agognato musical sul pasticcere trotskista.

Il Fatto Quotidiano

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